ERRORE GRAVE

Mercoledì – IX settimana del Tempo Ordinario

Sui banchi di scuola, abbiamo tutti imparato che si può sbagliare in modo più o meno grave. Erano il blu e rosso le sfumature cromatiche deputate a farci distinguere la densità del nostro errore. Anche nella vita spirituale esiste una gerarchia dei passi falsi. Nel vangelo di oggi, il Maestro Gesù non esita a utilizzare la penna blu per rispondere alle oziose congetture dei sadducei, uomini religiosi piuttosto scettici circa la possibilità di una vita oltre la morte.

«Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete mai letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto,
come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”?
Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore» (Mc 12,26-27)

In realtà, la radice del loro difetto teologico non è tanto una questione di scarsa intelligenza o bassa perspicacia — apprezzabili virtù, ma incapaci da sole di penetrare il mistero di Dio — quanto di atteggiamento nei confronti della vita. Soprattutto nelle sue manifestazioni più incomprensibili e dolorose, capaci di rivelare quale grido abita le profondità del nostro cuore. Il loro modo di porsi di fronte al problema della morte, al dramma della sterilità, alla tristezza della vedovanza appare molto distaccato. Quasi freddo e insensibile, al punto da poter trasformare una situazione di profonda solitudine in un quiz teologico.

«C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza.
Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, 
e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna.
Alla resurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie?» (12,20-23)

Assai diversa è la reazione di Tobi e di Sara di fronte alle circostanze drammatiche che stanno avvolgendo come una spirale i loro giorni. Il primo ha l’animo affranto dal dolore a causa di una cecità contratta all’improvviso. La seconda viene addirittura insultata da una serva di suo padre, per una disastrosa avventura affettiva nella quale pare impossibile il suo donarsi a un uomo senza che intervenga subito la morte. Eppure, proprio queste due persone umiliate e sofferenti diventano parola sacra di Dio, nel momento in cui scelgono di non restare chiuse e isolate nel loro dolore, ma decidono di parteciparlo al santo «giudice del mondo», il Dio misericordioso e benedetto.  

In quel medesimo momento la preghiera di ambedue fu accolta davanti alla gloria di Dio
e fu mandato Raffaele a guarire tutti e e due:
a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio.
e a dare a Sara, figlia di Raguele, in sposa a Tobia, figlio di Tobi (Tb 3,16-17)

Questo, alla fine, sembra essere l’unico modo di conoscere Dio: interrogarlo non per curiosità, ma per sete di vita. Fiduciosi che, se una domanda oziosa può lasciarlo — giustamente — indifferente, di certo la sua natura di Padre non può rimanere insensibile davanti al grido — di gioia o di lamento — della nostra piccola, meravigliosa umanità.   

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