CUSTODIRE

Cuore immacolato della BV Maria

Le Scritture scelte per la festa del cuore immacolato di Maria ci conducono dentro la comprensione profonda di cosa possa essere un’umanità pienamente spalancata alla realtà e all’iniziativa di Dio. La storia di questa ricorrenza liturgica è abbastanza recente, il suo significato straordinariamente pregnante. Infatti, nel linguaggio biblico il cuore rappresenta la totalità della dimensione interiore e invisibile di una persona. Se nel mondo contemporaneo è soprattutto la realtà dei sentimenti e delle passioni a essere evocata dalla parola ‘cuore’, nel mondo antico il suo significato era estremamente più ampio, dal momento che indicava la sede della volontà, del pensiero, delle emozioni di ogni essere vivente.

Sorge allora la domanda: com’era fatto, come funzionava il cuore di Maria, un cuore puro, affrancato dal peso e dalle conseguenze del peccato originale? Ascoltando il festante cantico di Isaia, potremmo avere già una prima risposta. Il popolo liberato dal timore dell’esilio percepisce la presenza di Dio come uno splendido abito che allontana la vergogna di trovarsi in terra ostile e disperde la paura verso un futuro avvertito come precario e inquietante: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia» (Is 61,10). Un cuore senza macchia è un’interiorità priva del sospetto che Dio non sia, ostinatamente, dalla parte dell’uomo come un alleato fedele, «come uno sposo», «come una sposa» (61,10). 

Il vangelo rende ancora più interessante la nozione di purezza del cuore, che corre sempre il rischio di essere da noi avvertita come un’esenzione dalle sbavature del pensare e del vivere. Il racconto di come e quando Maria — insieme a Giuseppe — reagisce di fronte alla scomparsa del bambino Gesù, che si intrattiene a Gerusalemme a parlare con i maestri del tempio, rivela tratti sorprendenti dell’intimo di Maria. Il suo è un cuore che crede di sapere dove sia il Signore, mentre invece ignora che egli non è più negli ambienti familiari, «tra i parenti e i conoscenti» (Lc 2,44). Un cuore libero di provare angoscia, che non si vergogna di dover tornare indietro, di convertirsi. Un cuore capace di «stupore» (2,47), che accoglie volentieri il compito di dover porre domande: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (2,48) e accetta la fatica di ricevere ulteriori interrogativi come risposte: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2,49). Un cuore che non pretende di dover sempre capire o condividere i disegni di Dio, ma accetta di camminare umilmente nel chiaroscuro della fede — «Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro» (2,50) — nell’attesa che «spunti il giorno e la stella del mattino illumini» (2Pt 1,19) ogni ombra. Un cuore che sa attendere proprio perché non disperde, ma tutto raccoglie e serba dentro di sé: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (2,51). 

Un simile cuore è ciò che ogni figlio di Dio è chiamato ad avere, perché ciò che Maria — sin dalla sua nascita — ha ricevuto in dono da Dio come privilegio è l’invisibile realtà che il mistero pasquale non cessa mai di edificare nella carne di ogni discepolo di Cristo. 

Commenti