LA VITA RICORDATA

Pasqua di risurrezione – Anno C

I giorni nel deserto della nostra umanità sono finiti: è la Pasqua del Signore! Se abbiamo provato a vivere il tempo di quaresima con un minimo di sincerità, ci saremo accorti che qualcosa non va. Non tanto nella nostra società, sempre più in crisi e in ansia. Non solo perché c’è la crisi e le malattie, perché ogni giorno si soffre e si muore. Qualcosa non va dentro di noi, perché non sappiamo vivere bene, amare, accogliere la gioia e la fatica dei giorni che scorrono. Siamo peccatori, stupende creature di Dio, capaci di fallire gli obiettivi più grandi della vita, rimanendo però impeccabili nei dettagli. La memoria della passione e morte del Signore ci ha ricordato che la nostra umanità, in fondo, non è diversa da quella dei primi testimoni di Cristo. Anch’essi, affascinati dalla sua parola, si sono scoperti incapaci di corrispondere alla libertà del vangelo. Hanno tradito, rinnegato. Sono fuggiti. Il Signore Gesù li conosceva bene, sapeva di che fragile pasta erano fatti. E, per questo, ha voluto amarli fino in fondo. Fino alla fine. Fino alla morte. Anzi, fino alla risurrezione. La pasqua di Cristo si fonda su un minuscolo segno di speranza, un sepolcro vuoto. La sua forza è però quella di un terremoto. Il vangelo ce la racconta. 

A terra
Appena cessato il riposo del sabato, le donne si precipitano al sepolcro per ungere il corpo dell’amato Maestro, al mattino presto portando con sé gli aromi che avevano preparato (24,1). Ma non vedono nulla di ciò che si aspettano: trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù (24,2). L’attitudine — tutta femminile — di saper conversare con estrema facilità in qualsiasi momento, diventa l’occasione di celesti annunciazioni: Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante (24,4). Tutto lascerebbe immaginare un’immediata, felice reazione da parte di chi era pronto a riti di imbalsamazione e invece si ritrova al centro di una vera e propria liturgia di illuminazione. E invece no. Infatti a noi tutti — maschi e femmine — ci capita spesso di opporre le maggiori chiusure proprio davanti ai migliori piatti che la vita ci serve. Anziché gioire e domandare, le donne sprofondano a terra, mosse da sentimenti di timore. Scrive Luca che impaurite, tenevano il volto chinato a terra (24,5). Ecco come ci coglie — sempre — l’annuncio di risurrezione. Con la faccia affogata nell’acqua della tristezza, con il cuore immerso nella palude della paura. Perché il potere della morte tutti lo conosciamo e lo abbiamo respirato. Ne abbiamo fatto esperienza quando ci siamo ritrovati senza più porte né maniglie per rientrare nella vita, recuperare i rapporti incrinati, risanare le ferite ricevute o inferte, accogliere o donare il perdono. 

Ricordare
Non sappiamo se e quando le donne rialzano la testa. L’evangelista racconta però che una voce è capace di risollevare la prostrazione del loro cuore, facendo appello alla facoltà di memoria sepolta nella terra dopo il grande dolore. Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno» (24,6-7). L’unica certezza — la morte — è improvvisamente scippata dalle loro mani. I due uomini, con poche parole, riescono a intercettare il motivo che tiene il loro volti ancora schiacciati a terra. E a indicare loro un’autentica via di salvezza: la risurrezione della memoria. Le donne, immerse nelle tenebre del dolore, sono invitate ad accedere al database dei ricordi per riportare alla luce il vangelo ascoltato e creduto, la cruda e splendida parola della croce: ed esse si ricordarono delle sue parole (24,8). Contrariamente alle nostre aspettative, Dio non è apparso come Cristo glorioso e potente, ma come crocifisso povero e sconfitto. Per amore. Solo per amore. Questo modo di vivere, che a noi spaventa terribilmente, non rimane prigioniero della morte. Risorge. Nella carne di Dio ci è svelato il senso e il destino pure della nostra carne umana. Siamo nati e chiamati per amare tanto, per amare sempre. La paura che ciò possa costarci caro non ha più motivo di esistere. La morte è sconfitta, letteralmente ingoiata dalla forza della misericordia. Nessuna prova scientifica, nessuna evidenza certa. Solo un meraviglioso segno iniziale — il sepolcro vuoto — e poi tanti segni successivi — i testimoni del Risorto, i santi — che hanno lasciato nei secoli il solco di una strada percorribile da tutti. 

Vaneggiamento
Le donne si ricordano che la croce è già risurrezione e salvezza. Improvvisamente il loro cuore torna a battere a causa del vangelo, della buona notizia che l’amore di Dio è più forte del peccato e della morte. E provano ad assolvere alla missione ricevuta: annunciare tutto quanto agli Undici. Ma scoprono ciò di cui, lungo i secoli, tutti i testimoni del Risorto faranno esperienza: l’incredulità e il rifiuto. Annota l’evangelista Luca che, ai discepoli le loro parole parvero come un vaneggiamento e non credevano ad esse (24,11). Per quanto sconveniente, la prima reazione all’annuncio pasquale non può che essere simile a questa. Perché la risurrezione di Cristo dai morti pretende di liberarci dalla nostra più radicata paura. Non tanto quella di vivere e poi — un giorno — morire. Ma quella di poter — finalmente — dare la vita. Per amore. Solo per amore. Alleluia!

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