SEDE VACANTE

Venerdì – II settimana del Tempo di Quaresima

Questa mattina noi credenti ci siamo svegliati con il sapore di un vuoto nell’anima. Sempre amaro, in prima battuta, come non può che essere il sentimento che acompagna un inatteso distacco, una sofferta separazione. La sede vacante del papa è non solo l’oggetto privilegiato dei media — da oggi assiepati in piazza san Pietro più per curiosità che devozione — ma soprattutto l’inevitabile centro di gravità dei pensieri e delle preghiere per tutti i cattolici in questi giorni. Mentre potremmo restare ammaliati da tristi considerazioni, le Scritture scelte per questo venerdì di quaresima ci costringono a fissare lo sguardo su una sede ben più pericolosamente vacante di quella che, per il momento, è sotto gli occhi di tutti. 

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia,
e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe.
I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli,
lo odiavano e nn riuscivano a parlargli amichevolmente (Gen 37,3-4)

Il miglior trattamento che gli altri sembrano sempre meritare rispetto a noi solleva prima o poi in tutti quell’indignazione che, in un momento di debolezza, si tramuta in fretta in sentimenti di odio e in opere di violenza. I fratelli di Giuseppe non riescono a guardare con benevolenza quell’ultimo fratello che Giacobbe amava in modo speciale, come un anziano padre il suo cucciolo. Dando pieno sfogo all’invidia, tramano contro di lui, avviando così una delle più tristi e sublimi storie di fraternità — interrotta e poi recuperata — dell’intera narrazione biblica. Per condurre i capi religiosi del suo tempo alla coscienza di non essere estranei a simili sentimenti, il Signore racconta la celebre parabola dei vignaioli omicidi.

Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo:
«Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: 
«Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità».
Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero (Mt 21,37-39)

Forse, passando frettolosamente davanti a questi versetti e a queste storie, ci potremmo sentire estranei a un modo così brutale di esplicitare quei sentimenti di invidia e rancore che portiamo talvolta nel cuore. Facciamo fatica ad ammettere che, ogni volta che ci sentiamo meno amati — di quanto vorremmo, di quanto lo sono gli altri —, sorge dentro di noi l’intenzione di eliminare ogni scomodo termine di confronto, che ravviva il ricordo della nostra inferiorità. E iniziamo a guardare con profondo sospetto le differenze, di cui invece è pieno il mondo e ogni storia d’amore. E a dimenticare che proprio quelle ferite a causa delle quali ci sentiamo in diritto di soffrire o di far soffrire gli altri in realtà sono la più limpida opportunità di scoprire il volto del Padre di tutti, per diventare finalmente ciò che da sempre siamo: figli amati. È questa la sede ogni giorno vacante perché vuota di noi e della nostra disponibilità a iniziare il giorno con sentimenti di gratitudine e di fraternità. Il posto che solo noi possiamo occupare riconoscendoci figli scelti, non preferiti, uguali a tutti gli altri, nostri fratelli. 

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