ACCONTENTARSI

Venerdì – IV settimana del Tempo Ordinario

La parola di Dio contenuta nelle Scritture oggi ci rivolge un serissimo monito e, al contempo, ci regala una profonda consolazione. La figura pavida e crudele di Erode, che si lascia manipolare dall’astuzia di Erodiade e si piega al folle capriccio della sua giovane figlia, decretando quasi per gioco la morte del profeta Giovanni, ci ricorda drammaticamente come sia impossibile conservare troppo a lungo un cuore ambiguo, in perenne oscillazione tra desiderio di male e coscienza di bene.   

Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello».
Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva,
perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; 
nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri» (Mc 6,7).

Senza arrivare a compiere atti di odio così scellerati come quelli del famigerato tetrarca di Giudea, noi tutti siamo continuamente tentati di tollerare, per non dire giustificare, una certa ambiguità sepolta in fondo al cuore. Si tratta di una posizione scomoda eppure seducente, riconducibile alla fatica di dover restare dentro la realtà — con tutti i suoi limiti — senza sentirci in qualche modo autorizzati a possedere più del pane con cui Dio ci sta facendo attraversare il deserto della vita. Opportuno e puntuale il richiamo con cui l’autore della lettera agli Ebrei si avvia a concludere la sua lunga riflessione teologica. 

La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, 
perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò» (Eb 13,5).

Accontentarsi è il difficile riflessivo da saper coniugare ogni giorno, per evitare il rischio di una vita sempre protesa a rispondere con troppa sollecitudine alle aspettative degli altri, che nel tempo possono diventare i padroni del nostro bisogno di essere accolti e approvati. Potrà sembrare strano, ma più che esercizio di virtù la capacità di essere contenti del (solo) pane quotidiano è esercizio di memoria, silenzioso movimento di un cuore sicuro del fatto che la vita — grazie a Dio — ci visita e ci raggiunge in infiniti modi e che per amare gli altri è ‘sufficiente’ una discreta e concreta compassione.

Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli.
Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati,
perché anche voi avete un corpo (13,2-3). 

Il Signore è esperto di ricordo e di memoria. Per questo ogni storia e ogni vita non è giunta al termine quando conclude in questo mondo la sua corsa. Proprio allora e proprio in quel luogo l’amore di Dio ha voluto porre la sua ultima e definitiva tenda in mezzo a noi. Così possiamo dire con fiducia: «Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?» (13,6). 

I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, 
ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro (Mc 6,29).

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