OGGI

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Le nozze di Cana (domenica scorsa) ci hanno ricordato che Dio è capace di trasformare la tristezza in gioia, nella misura in cui noi siamo disposti ad ascoltare le sue parole e a metterle in pratica. L’avvio del vangelo di Luca — che quest’anno orienta la riflessione e la preghiera della chiesa — riprende subito il tema dell’ascolto, presentandoci Gesù alle prese con la sua prima ‘omelia’ pubblica, in una sinagoga della Galilea. Questa volta la sua non è una parola che invita all’azione, ma a porre fiducia in un annuncio che ha l’esplicita pretesa di proclamare la fine di ogni attesa e il principio di ogni speranza. Un autentico vangelo.  

Parole
L’evangelista Luca pone l’inizio della’attività di Gesù nel contesto di una liturgia sabbatica, nella sinagoga di Nàzaret, dove Gesù «era cresciuto» (Lc 4,16). Dopo aver ricevuto «il rotolo del profeta Isaia», in cui si annuncia «ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista» (4,18), il figlio del falegname trova il coraggio di dire ai suoi concittadini, «mentre gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (4,20): «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (4,21). Gesù si presenta improvvisamente con straordinaria autorevolezza, portando a un inatteso compimento quanto già accadeva ogni sabato in Sinagoga, sin dai tempi del ritorno dall’esilio, quando «i lèviti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura» (Ne 8,8), quando Dio — attraverso i suoi ministri — rassicurava il popolo: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (8,10). Ma l’annuncio che il Signore Gesù rivolge ai suoi amici di sempre contiene un’assoluta novità, perché sancisce l’arrivo della fine dei tempi, l’inizio di un «oggi» nel quale tutte le promesse di Dio vogliono e possono realizzarsi. Il Maestro prende pubblicamente la parola per dichiarare che quanti sono disposti a riconoscere il bisogno di una liberazione — dall’incapacità di vedere, vivere in pace e prosperare — sono destinatari di un meraviglioso e improvviso regalo di libertà. 

Inganni
Da quel giorno fino a oggi, questa è la grazia nascosta e contenuta nella Parola di Dio, accolta dalla Chiesa dalle mani degli Apostoli, e trasmessa ai discepoli di ogni generazione. Una grazia che si manifesta in maniera unica quando i cristiani si riuniscono per ascoltare la voce del loro Signore che parla attraverso le Scritture. Una grazia che vuole anzitutto disintossicare il nostro cuore continuamente invaso da parole vuote e false, che paralizzano la nostra capacità di amare e di donarci. Dentro di noi, infatti, entrano e trovano parcheggio tante parole ogni giorno. Alcune sono buone, vengono da Dio o — anche a loro insaputa — a Dio sono intimamente connesse. Altre invece sono cattive, perché nascono dalla menzogna e non conducono dentro il senso della storia e della realtà. Una delle più diffuse bugie che respiriamo è la parola che sottopone a giudizio negativo la nostra vita, valutandola come parte non rilevante di quel grande corpo che è l’umanità amata da Dio. San Paolo, a suo tempo, ha reagito con forza a questa bugia capace di inquinare i rapporti fraterni e distruggere l’autostima: «Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (1Cor 12,27). È un discorso bello, che ascoltiamo facilmente quando sappiamo guardarci allo specchio con ottimismo, ma non certo quando ci sentiamo giù di tono. Per questo l’apostolo aggiunge che la nostra appartenenza al corpo di Cristo non dipende dai nostri meriti, infatti «proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie» (12,22). 

Approfondimenti
Ma parole divine e preziose come queste si smarriscono facilmente nel fiume di banalità che compone il nostro chiacchiericcio quotidiano. Ecco perché, come ha fatto l’evangelista Luca, anche noi doppiamo imparare a condurre ricerche accurate sul patrimonio di fede che diciamo di credere. Scrive l’evangelista nel suo prologo: «ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto» (Lc 4,3-4). Luca non ha conosciuto personalmente Gesù, ne ha solo sentito parlare dai primi apostoli (da Paolo soprattutto). Per questo ha avvertito la necessità di approfondire personalmente le notizie che gli annunciavano un Dio bellissimo, ma assolutamente diverso da quello che conosceva. La nostra vita di fede spesso procede sulla scorta di insegnamenti antichi e impolverati oppure presi a prestito dal cuore o dalla voce di qualche buon banditore del Regno. Se vogliamo essere cristiani convinti, ma soprattutto contenti, ciò non può bastare. Fino a quando non apriamo personalmente il vangelo e accettiamo di poterci confrontare personalmente con la parola di Dio, usando la nostra intelligenza, la nostra sensibilità, il nostro cuore, resteremo dei cristiani in embrione. Dobbiamo osare la fatica dell’ascolto, quel lavoro spirituale che scopre e spalanca pozzi di acqua viva nei terreni della nostra anima. Per iniziare non servono troppe credenziali. È sufficiente l’umiltà di riconoscere che poveri e bisognosi — almeno davanti a Dio — lo siamo da un pezzo. E che un tempo migliore di quello presente, semplicemente non esiste. Oggi — proprio oggi — si compie la buona notizia che Dio è con noi. 

Commenti