FATTI GIUSTI

Battesimo del Signore

La festa del Battesimo del Signore Gesù chiude il tempo del Natale, salvandolo da ogni possibile fraintendimento e riduzione. Il Natale è solo in parte la festa della tenerezza di Dio che si manifesta nella carne piccola di un bambino. È pure la manifestazione di un «fuoco» (Lc 3,16) che vuole ravvivare la vitalità dei nostri percorsi umani, lo slancio della nostra libertà. Soltanto due Vangeli (Matteo e Luca) raccontano infatti la cosiddetta infanzia del Maestro. Per gli altri due, la Buona Notizia comincia proprio con l’immersione di Cristo nelle acque del Giordano, un battesimo di solidarietà con l’uomo che si trova a fare i conti con la soglia amara del peccato, che conosce quotidianamente lo scacco matto della propria, invincibile, debolezza. 

Con l’acqua
«Il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo» (3,15). Il Battista era un uomo straordinario. Un profeta coerente, un autentico messaggero di Dio in mezzo al suo popolo. Molti perciò si domandavano se con lui si poteva finalmente smettere di aspettare il Messia. La sua vita e la sua predicazione rivelavano infatti una qualità umana altissima, una tensione meravigliosa alla giustizia, una magnetica libertà interiore. Dai racconti evangelici, possiamo immaginarlo come un tipo capace di parlare alle folle con verità, di fare breccia nel cuore con una predicazione schietta e toccante. Giovanni si muoveva libero dagli schemi e dalle convenzioni che spesso ingessano le nostre comunicazioni rendendole troppo politically correct, vuote di profezia, povere di verità. Il Battista sapeva condurre le persone a riconoscere i propri peccati, un’opera straordinaria che può essere fatta soltanto da un cuore puro e sincero. Ma Giovanni non era il Cristo e, soprattutto, sapeva di non esserlo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (3,16). Infatti l’impegno e l’onestà — che in Giovanni risplendono e che tutti siamo chiamati a coltivare — possono portarci soltanto fino a una soglia, dove riconosciamo di essere peccatori, pezzi di umanità non ancora giunti al bersaglio. Perché la nostra vita sia salva ci serve qualcosa di più della nostra fragile volontà, qualcuno che sia «più forte» di ogni nostro insuccesso.

Con il fuoco
«Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (3,21-22).  Mandando il suo Figlio nella nostra umanità, Dio non ci ha fornito una sapienza o delle qualità umane che ci mancavano. Ha invece compiuto un gesto con cui ha voluto esprimere quanto grande sia il nostro valore ai suoi occhi. Cosa c’è di più importante di un figlio per un genitori? Nulla, ovviamente. Ebbene, il Padre, Dio, un giorno ha pensato di gettare sul piatto della storia umana  — che sempre piange — la carta più preziosa, il suo unico Figlio, «l’amato» del suo cuore. La voce che tuona sulle sponde del Giordano serve a noi, non al Signore Gesù, per capire quanto magnifica sia l’iniziativa di Dio nei nostri confronti. Il Battesimo dell’uomo-Gesù non è altro che la conferma del Natale del bambino-Gesù il quale, mettendosi in fila con noi e con il nostro bisogno di salvezza, ci annuncia quanto il cielo sia disposto a giocarsi con la terra. Ci rivela che Dio, nella sua ricerca di comunione con l’uomo, è pronto a scendere e a inginocchiarsi per raggiungerci là dove i sentieri tortuosi della vita e i nostri peccati ci hanno potuto condurre. Questo è ciò che può realmente dare salvezza ai nostri giorni, la vampata di affetto che ci strappa le lacrime dagli occhi. 

Da figli
Nel battesimo di Gesù possiamo vedere realizzato il sogno di Isaia, il profeta che gridava a Gerusalemme parole di consolazione quando vedeva «il Signore Dio» (Is 40,10) camminare verso la sua città con tutto il «gregge» dei suoi figli: quelli deboli, portati «sul petto» come «agnellini», quelli forti, condotti «dolcemente» come «pecore madri» (40,11). Contemplando il Figlio di Dio immerso nelle acque del Giordano, possiamo comprendere pure il canto di Paolo, che annuncia ai primi cristiani la gioia del Vangelo: «Quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo» (Tt 3,4-5). Nella festa di oggi, abbiamo l’occasione di capire quale regalo Dio ci abbia fatto con il Natale — l’Incarnazione — del suo Figlio. Affinché in questo nuovo anno che si spalanca davanti a noi, possiamo smettere di giustificarci davanti allo specchio del nostro ego o di fronte alle aspettative degli altri, e ricominciare a riconoscerci giustificati e amati, «fatti giusti» davanti a un Padre che si è voluto giocare pienamente con noi, donandoci quanto aveva di più prezioso. Un giorno, infatti, Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi. Per oltre trent’anni è stato il nostro vicino di casa, costruendo panche, tavoli e sgabelli. Poi un giorno si è alzato e si è messo in fila con noi, per annunciarci che, insieme a lui, possiamo superare i limiti della nostra umanità fragile e diventare «per la sua grazia, eredi della vita eterna» (Tt 3,7). Così Dio continua a fare: dimora in mezzo a noi, mette il suo cuore e la sua vita accanto a noi. Poi — all’improvviso — ci racconta il suo amore. Per conoscerlo, viverne, restituirlo. 

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