IL PRIMO AMORE

Lunedì - XXXIII settimana del Tempo Ordinario

Anche se ci piace pensarlo così, ricordarlo come un momento magico e irripetibile, il primo amore non è autentico. Anzi, è pesantemente segnato da bisogni ed egoismi chiamati a purificarsi nel tempo, per lasciare spazio a una relazione meno emotiva e, dunque, più libera. Il papa Benedetto XVI ha dedicato a questo tema una bellissima lettera enciclica (Deus Caritas Est), mentre il libro dell’Apocalisse, che da oggi ci prende per mano per condurci fino alle porte dell’Avvento, usa l’immagine per chiamare a conversione.

«Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti.
Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore.
Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima» (Ap 2,3-5).

Pur essendo una forma di amore ancora immaturo, il primo amore possiede una grazia particolare, che il tempo, le circostanze — e le nostre scelte — tendono a offuscare. Si tratta di un certo modo di vedere la persona amata oltre ciò che essa realmente è. Non se ne vedono bene i difetti, si apprezzano eccessivamente i suoi pregi, la si guarda pensando al bene e alla felicità che noi siamo disposti a donargli, sinceramente e gratuitamente. Perché si ha l’incanto negli occhi. Nella vita, questo privilegio che l’amore concede nella sua primavera è una grazia da cercare e trovare continuamente. A qualsiasi prezzo, come fa il cieco nel vangelo. 

Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 
Gli annunciarono: «Passa Gesù, il nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,36-38).

Avendo perso lo sguardo su tutte le cose, il cieco non ha alcun timore a raccogliere l’invito dell’Apocalisse. Perciò grida, si alza, converte il passo della sua vita al Signore che passa accanto alla sua povertà. Così si raccoglie e si compie la grazia del vangelo. Non certo stipando nel cuore sentimenti che non proviamo più o indossando maschere di affettata ipocrisia. Accettando invece il non-giudizio di Dio che conosce la nostra buona volontà e vuole riconsegnarci sempre l’avventura dell’amore. È la cosa più dura da accettare: che non siamo cattivi, ma perdiamo continuamente l’incanto degli occhi, quella leggerezza di vivere e patire che il Signore dona e restituisce ai sui figli. 

E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato» (18,42).

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