IL GIOGO DELLA LIBERTÀ

Martedì - XXVIII settimana del Tempo Ordinario

Possiamo cogliere un comune sentimento nelle parole di Paolo e del Signore Gesù, una certa rabbia nei confronti di quegli atteggiamenti che, solo in apparenza, indicano un rapporto autentico con Dio e con gli altri, mentre in realtà ne sono una triste smentita. Rivolgendosi alla neonata comunità cristiana della Galazia, l’apostolo conclude il suo inno alla libertà dei figli di Dio denunciando il pericolo di ricadere su una logica di forme esteriori.

E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere 
che egli è obbligato a osservare tutta quanta la Legge.
Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella Legge;
siete decaduti dalla grazia (Gal 5,3-4).

Per i Galati è forte il rischio e sottile la tentazione di ritornare a compiere gesti che possano garantire — anzitutto ai loro occhi — di essere e sentirsi persone religiose, ancora in alleanza con il Dio dei padri. Il Maestro Gesù, invitato in casa di un fariseo, si trova a dover gestire  un’analoga situazione, quando si accorge che l’attenzione data alle norme rituali è superiore a quella rivolta alla sua persona. Anch’egli decide di affrontare di petto il problema, compromettendo il clima conviviale che si addice a un invito a pranzo: 

«Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, 
ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria» (Lc 11,39). 

Sia l’apostolo, sia il Maestro stigmatizzano le forme religiose quando esse, anziché custodire ed esprimere la libertà di un rapporto fiduciale con Dio e fraterno con il prossimo diventano fini a se stesse. Anzi, si trasformano in un pericoloso rifugio di ipocrisia, attraverso cui «l’esterno» diventa più importante dell’interno, ciò che appare più rilevante di ciò che è in realtà. Attraverso questi richiami forti, oggi le Scritture ci chiedono di verificare lo stato di salute dei segni che — più o meno coscientemente — costruiscono la trama dei rapporti che viviamo: con Dio, con gli altri, con le cose. Spesso ci costringiamo all’osservanza, scrupolosa e rigida, di cose che non sono necessariamente secondo la volontà di Dio, dimenticandoci di indossare il giogo della libertà. Già, perché la libertà non è soltanto un bel paio d’ali, ma pure una condizione nella quale è necessario — e difficile — rimanere. 

«Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (11,41)

Dopo i primi, facili passi nella confidenza con Dio, rimanere liberi davanti al suo amore fedele esige che il nostro vivere come figli si traduca nel compito di saper offrire quanto possiamo tirare fuori dal nostro «dentro», cioè dalla nostra realtà, anche quando ci sembra poco e sconveniente. Contro i narcisismi e gli egoismi del cuore, la medicina è sempre la stessa: smettere di guardarsi allo specchio e provare a dare agli altri ciò di cui hanno bisogno, regalo perfetto che il Signore ha (già) posto nelle nostre mani. 

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