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XXVIII Domenica del Tempo Ordinario — Anno B

Se il vangelo di domenica scorsa testimoniava quanto il regno di Dio sia accessibile a tutti — poiché basta accoglierlo «come lo accoglie un bambino» (Mc 10,15) — quello odierno ci rivela come non sia scontato entrarvi, pur incontrando il volto e l’amore di Cristo. 

A nudo
Eppure quel tale — «giovane» secondo la versione di Matteo (19,20.22) — che corre incontro a Gesù e in ginocchio lo interroga sembrava essere proprio sulla buona strada: «Maestro buono, cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc 10,17). Dopo aver verificato la sincerità delle sue intenzioni, il Signore Gesù prova a giocarsi fino in fondo con lui, «fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”» (10,21). Qui però finisce il dialogo, si conclude l’incontro. Quel tale, rabbuiato nel volto e triste, decide di andarsene, senza proferire parola. L’invito che ha ascoltato è stato per lui come una «spada a doppio taglio», che «penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). Per quel giovane, messo improvvisamente a nudo da uno sguardo e da un atto d’amore, il vangelo è diventato una parola dura a causa di un cuore già ingombro di ricchezza: «possedeva infatti molti beni» (Mc 10,22). 

A fuoco
Non accade diversamente a noi, quando cerchiamo e interroghiamo il Signore, mossi dal desiderio di una vita piena e autentica. Talvolta percepiamo le sue risposte e i suoi silenzi come i riflessi di un volto esigente, insensibile al nostro passo sempre un po’ debole e incerto. Non ci accorgiamo che la sua voce ci sta proponendo di abbracciare la vera sapienza, quella che vale «più della salute e della bellezza» (Sap 7,10). Non siamo disposti ad ammettere che molte nostre tristezze non hanno origine da quello che ci manca, ma dall’ostinazione con cui stringiamo tra le mani i beni o i traguardi conseguiti come fossero «una ricchezza incalcolabile» (7,11). Le parole di Pietro tradiscono il sospetto di ogni discepolo che, pur provando a percorrere sinceramente il cammino di Gesù, si accorge di possedere ancora molte cose. Al punto da sembrare quasi una timida domanda bisognosa di conferma: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mc 10,28). Pur non oscurando il pericolo a cui conducono bramosia e possesso — «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (10,23) — il Signore Gesù guarda in faccia i discepoli e ribadisce la ragionevolezza della sequela: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio» (10,27). 

In libertà
Accogliere il regno di Dio non è l’ultima, insuperabile sfida che Dio lancia all’uomo, ma l’incondizionato dono offerto alla sua libertà. Per accoglierlo bisogna imparare a preferire la logica del dono a quella del possesso, il vangelo della croce a qualsiasi altra buona notizia, fino a poter condividere la beatitudine dell’antico re di Gerusalemme: «Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile» (Sap 7,11) e scoprirci così tanto amati da poter ricevere «già ora, in questo tempo cento volte tanto» (10,30) quello che i nostri sforzi mai saprebbero procurarci o assicurarci. Esiste forse un’eredità migliore in cui sperare?

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