(NON) CORRISPONDERE

Festa di san Matteo, apostolo ed evangelista

Il celebre dipinto della vocazione di Matteo del Caravaggio, conservato nella chiesa di san Luigi dei Francesi a Roma, condensa in un’immagine — nota e cara a tutti i cristiani — l’esperienza di fede che il pubblicano chiamato a diventare discepolo di Cristo ha vissuto e poi riportato nel primo vangelo. La figura del Signore Gesù con il dito della mano destra puntato, sovrastata da un ampio fascio di luce, sembra dire a Matteo «seduto al banco delle imposte»: «Tu!», «Seguimi» (Mt 9,9). Pietro, da parte sua, sbalordito e incredulo, ripete il gesto di Gesù quasi dicendo: «Lui?». Non meno stupito di quanto accade, Matteo, rivolge il dito della mano sinistra su di sé, chiedendosi: «Io?», mentre la mano destra continua a contare i denari riscossi.

Caravaggio riesce a dare molta enfasi a un contenuto teologico che domina la pagina evangelica di oggi, così come l’intera narrazione di Matteo. Riproducendo il pubblicano ancora tutto immerso nel suo mestiere, che lo poneva automaticamente nella classe dei peccatori pubblici, il pittore mostra come la vocazione a essere discepoli sia una assoluta iniziativa di Dio in Cristo e non qualcosa che dipende dalla capacità o dall’integrità morale dell’uomo. Non possiamo sapere quanto Matteo si sentirebbe in sintonia con questa intuizione artistica, che nei secoli ha accompagnato la pietà e la preghiera di tanti fedeli. Più facilmente possiamo invece immaginare come il primo evangelista possa sentirsi ben rappresentato dalla descrizione che l’apostolo Paolo fa di se stesso: «io, prigioniero a motivo del Signore» (Ef 4,1). Almeno a giudicare dalla disponibilità e dalla prontezza con cui si è lasciato afferrare da quell’invito che, improvvisamente, ha annunciato «misericordia»  (Mt 9,13) alla sua vita, restituendole una perduta dignità: «Seguimi» (9,9).

La festa di oggi rammenta alla Chiesa come si fa a «corrispondere alla vocazione cristiana» (colletta), ricordandole anzitutto quanto sia facile e ‘religioso’ il rischio di non corrisponderle. È sufficiente sentirsi «giusti» e ritrovarsi a vivere una fede incentrata sui «sacrifici» (9,13), anziché sulla «misericordia» che impedisce di vedere l’uomo immerso nel peccato come ‘altro’ rispetto a se stessi: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?» (9,11). 

Pur essendo il libro che apre il canone cristiano del Nuovo Testamento, il vangelo scritto da Matteo non è il più antico. Il suo primato, più che cronologico, è dovuto ad altre motivazioni legate alla storia e allo sviluppo delle prime comunità cristiane. Il posto d’onore non è comunque immeritato, non fosse altro per quel versetto che — da solo — è capace di far proclamare al Signore Gesù la assoluta gratuità della salvezza di Dio per ogni uomo: «Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (9,13). Questa coscienza fonda la speranza della Chiesa e rende possibile a ogni discepolo di vivere «in maniera degna della chiamata» ricevuta (Ef 4,1) per maturare «fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (4,13). 

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