VI Domenica del Tempo di Pasqua – Anno B

At 10,25-26.34-35.44-48 / Sal 97 / 1Gv 4,7-10 / Gv 15,9-17

CHIAMATI AMICI


Il lungo tempo di Pasqua non può e non deve compiersi prima di aver ricordato alla comunità dei credenti fino a che punto Dio ha voluto coinvolgersi con la nostra umanità. Non solo con un rapporto di premurosa cura — come quello tra un pastore e le sue pecore — non solo con un legame forte — come quello tra la vite e i suoi tralci — ma addirittura attraverso una speciale intimità di sentimento, di vita e di pensiero che caratterizza ogni relazione di vera amicizia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).
Inclusività
L’amicizia nasce dall’abitudine a nutrire rapporti non esclusivi con la realtà. Gli apostoli hanno faticato non poco ad accettare questo modo di agire da parte di Dio, prima di  riconoscere «che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo» (At 10,45) e «sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola» (10,44). Furono necessarie confronti accesi, preghiere e lotte, conversioni del cuore, per giungere a capire che il Dio di Israele  «non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (10,34-35). La capacità di costruire rapporti di amicizia si fonda su un cuore libero, incline ad avvertire l’altro non come avversario da temere, ma come volto da incontrare e conoscere. 
Selettività
Eppure avere un cuore aperto e curioso non è incompatibile con l’attitudine a valutare e selezionare. Anzi, la vita ci mostra come la scarsa abitudine a non stabilire differenze tra le cose, le occasioni e le persone ci conduce presto dentro un triste gioco di indifferenza, nel quale riusciamo ad avere unicamente rapporti superficiali e occasionali. Quasi scusandosi, o volendo assumere tutta la responsabilità del rapporto di speciale intimità stabilito con i Dodici, il Signore Gesù dichiara di aver «scelto», cioè di aver voluto davvero stabilire con loro una profonda comunione: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). 
Universalità
La preferenza di Gesù verso i suoi discepoli spiega, paradossalmente, l’universalità del suo amore. Egli infatti ha potuto offrire la sua vita per ogni uomo, proprio per il fatto di averla prima donata e consegnata a quelle povere e semplici persone con cui aveva intessuto un rapporto di amicizia, aprendo loro il suo cuore, confidando loro il segreto del cuore di Dio: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (15,15). L’amore non è un sentimento, ma un percorso che passa necessariamente attraverso la stagione dell’amicizia, quel tempo in cui accettiamo di stabilire una particolare intimità con qualcuno. Spesso ci illudiamo di poter amare senza coinvolgerci veramente con l’altro, senza correre il rischio di sporcarci le mani con la sua diversità. Magari per non sperimentare il trauma del rifiuto e della solitudine. Ma così facendo corriamo un rischio ben più grave. Ci schermiamo da ogni reale possibilità di «dare la vita» (15,13) e di approfondire il nostro cammino di fede, dal momento che «chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,8). 

Solo percorsi di amicizia possono diventare, nel tempo, autentico amore. Solo una graduale compromissione della nostra vita con quella degli altri può inverare quell’esodo da egoismo e solitudine che il cuore anela e la Pasqua di Cristo annuncia. 

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