Lunedì - VIII settimana del Tempo Ordinario


COME UN FILO 


«Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!» (Mc 10,24). 
Le parole che Gesù esclama, dopo aver visto il giovane ricco rifiutare la sua chiamata alla sequela in povertà, sono le note apparentemente stonate, con cui riprendiamo il ritmo del tempo ordinario, dopo la grande celebrazione del mistero pasquale. Se da una parte ci possiamo chiedere come mai il Signore Gesù renda così lontano e, in qualche modo, irraggiungibile quel regno annunciato sin dall’inizio vicino a noi, dall’altra potremmo invece domandarci: perché queste parole risuonano terribilmente vere? Come mai è così difficile diventare cristiani convinti e contenti, pronti e a compiere la volontà del Padre? Perché l’avventura dell’amore secondo il vangelo ci coglie spesso impreparati, indecisi e immaturi? L’esperienza del giovane che, pur cercando la vita eterna, è costretto ad andarsene col volto scuro e la tristezza nel cuore alza il sipario: siamo troppo concentrati su noi stessi e su ciò che crediamo di (poter) possedere.
Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato;
possedeva infatti molti bene (10,22).
Pur essendo fedele ai precetti e alle regole, quest’uomo non è in grado di calcare le orme di Cristo. Infatti, osservare i comandamenti non è garanzia di un cammino di verità nell’amore. Spesso, molta della nostra coerenza morale e delle nostre virtù — che amiamo offrire allo sguardo degli altri — è solo il risultato del nostro sforzo, non il frutto buono e maturo della la grazia di Dio in noi. Ce ne accorgiamo amaramente quando la vita spoglia improvvisamente dei nostri abiti e dei nostri meriti, mettendo a nudo la nostra realtà. All’indomani della Pasqua, il vangelo ci ricorda che essere discepoli non significa affatto accumulare risultati e traguardi, ma accogliere e ricambiare l’amore con cui il Signore ci vede e ci chiama: 
«Allora Gesù, fissatolo, lo amò» (10,21).
Di fronte a questa iniziativa non sono le cose che ci mancano il vero ostacolo, ma proprio quelle che brandiamo con forza e che ci impediscono di gustare la gioia di non avere nulla da offrire se non noi stessi. L’amore per Dio e per i fratelli non si costruisce dentro un robusto e inossidabile edificio di sicurezze, ma dentro i confini tenui e miti di una «speranza viva» (1Pt 1,3). Dobbiamo solo accettare che il «cammello» (Mc 10,25) della nostra paura travestita da gigante passi con docilità attraverso «varie prove» (1Pt 1,6), per diventare agile come un filo sottile, capace di passare negli spazi stretti della realtà quotidiana, e di cucire relazioni e situazioni ormai lacerate, ma sempre recuperabili attraverso la «potenza di Dio» (1,5), che rende «tutto possibile» (Mc 10,27).

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