VII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Is 43,18-19.21-22.24-25 / Sal 40 / 2Cor 1,18-22 / Mc 2,1-12

ASSENSO



In una liturgia tutta dominata dal tema del peccato e dall’annuncio che il Signore ha il «potere» (Mc 2,10) di cancellarlo fino a non ricordarlo «più» (Is 43,25), le parole dell’apostolo offrono alla meditazione e alla preghiera un’inconsueta «apertura» (Mc 2,4).

Alleanza
Nel tentativo di legittimare la propria testimonianza davanti alla comunità di Corinto, Paolo si ritrova ad affermare che il Signore Gesù ha sempre offerto un incondizionato assenso alla comunione con la nostra carne umana ferita dal peccato: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui vi fu il “sì”» (2Cor 1,19). Non viene ribadita qui la coerenza dell’agire, ma il timbro squisitamente positivo con cui il Verbo di Dio ha scelto di entrare nella storia della salvezza. Del resto, la confusione che sin dal principio dei tempi regna nel cuore dell’uomo è proprio il sospetto che in Dio non ci sia soltanto il «sì», ma anche il «no», che il cielo non sia solo alleato, ma anche concorrente.

Solidarietà
Nel vangelo di questa domenica, osserviamo proprio questa logica in atto, nel momento in cui Gesù sceglie di concedere piena accoglienza all’umanità immobile e silente che viene portata caparbiamente al suo cospetto. Non badando all’inopportunità del gesto, il Signore Gesù esprime il suo «sì» alla grande «fede» (Mc 2,5) che spinge «quattro persone» a farsi carico di «un paralitico» (2,3) e della sua «barella» (2,4). E annuncia all’uomo infermo una guarigione ben più grande di quella cercata e attesa: «Figlio, ti sono perdonati i peccati» (2,5). Il peccato, infatti, è perdonato quando l’uomo, nella sua radicale debolezza, si incontra senza veli con l’amoroso assenso di Dio. Solo la scoperta che in Dio non c’è altro che un immeritato e solidale «sì» può liberare il cuore da qualsiasi paura, generando meraviglia e stupore: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19).

Gratuitamente
Del resto non sembra un’omissione la totale passività di questo paralitico, in cui possiamo riconoscere la nostra assoluta impossibilità di fare alcunché per rinnovare il dono della vita. La tradizione ebraica sa bene che tale prerogativa è riservata a «Dio solo» (Mc 2,7): «Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati» (Is 43,25). L’uomo rimesso in piedi dalla misericordia del Signore non dice nulla, né prima né dopo la guarigione. Lasciandosi però condurre al di là di se stesso, fino a ritrovare pienamente se stesso, diventa la più limpida attestazione della potenza salvifica del vangelo: «Quello si alzò e subito prese la barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò» (Mc 2,12). La certezza che essere accolti dalla parola di Cristo significa sorgere a una vita nuova era dai primi cristiani attribuita all’invisibile testimonianza interiore dello Spirito Santo: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuore» (2Cor 1,21-22).

Ma...
Tuttavia da questa grande speranza è possibile tagliarsi fuori, come quegli scribi talmente fissi nelle cose passate e antiche, da sapersi chiedere solo il perché di ciò che avviene davanti ai loro occhi: «Perché costui parla così? Bestemmia!» (Mc 2,7). E noi che faremo? Resteremo chiusi nel corto circuito dei pensieri del nostro cuore? Oppure getteremo lo sguardo, e la speranza, nel cuore di Cristo? Daremo finalmente l’assenso all’incontro con la sua misericordia che fa nuove tutte le cose?

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