(RI)MESSA A FUOCO


Le letture di oggi convergono nel dirci che il nostro cammino, come uomini e come credenti, è soprattutto un problema di occhi. Nell’immagine del cieco condotto da Gesù e, in disparte, guarito dalla sua compassione, possiamo riconoscere un itinerario di cui tutti abbiamo estremo bisogno, per poter vedere meglio la realtà

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida,
e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e,
dopo avergli messo della saliva sugli occhi,
gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?» (Mc 8,22-23)
Stranamente, il gesto di Gesù non sembra risolvere definitivamente il problema. Il cieco riacquista una certa capacità di vedere le cose, ma in modo sfuocato e impreciso. Si rende necessario un secondo intervento, quasi identico al primo

Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi
ed egli ci vide chiaramente,
fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa (8,25)
La lettera di Giacomo illumina questo mistero, affermando che la salvezza non consiste nel gettare semplicemente lo sguardo verso l’immagine della salvezza — con il rischio che sia solo un superficiale e sterile autocompiacimento — ma nel mantenere questo sguardo stabile, fino a riconoscersi pienamente coinvolti nella libertà del vangelo. Fuori metafora, si tratta di non limitarsi ad ascoltare le belle cose che la Parola ci dice e ci mostra, ma ad acconsentire la loro traduzione nei fatti della nostra vita. 

Se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica,
costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio:
appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era.
Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà,
e le resta fedele non come un ascoltatore smemorato
ma come uno che la mette in pratica,
questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,23-25)

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