Festa dei Ss. Simone e Giuda

Ef 2,19-22 / Sal 19 / Lc 6,12-19

DIVERSITÀ ELETTIVE


Gli apostoli Simone e Giuda vengono ricordati dalla liturgia con un’unica festa, probabilmente a causa di un comune apostolato in Mesopotamia e in Persia, dove sarebbero stati inviati a predicare il Vangelo. Oltre ad essere un po’ oscurati dagli omonimi più noti nella cerchia dei Dodici (Simon Pietro e Giuda Iscariota), i due apostoli non hanno lasciato molte notizie di sé. Nelle liste dei Dodici, che Cristo scelse e chiamò dopo aver trascorso «tutta la notte pregando Dio» (Lc 6,12), i loro nomi variano, lasciandoci intuire qualcosa della loro personalità. Mentre Luca definisce Simone come «Zelota» (6,15), Matteo e Marco lo presentano come «il Cananeo» (Mt 10,4; Mc 3,18). In realtà i due appellativi si equivalgono, poiché esprimono lo stesso significato. Il verbo qana’ nella lingua ebraica significa «essere geloso» oppure «ardere di zelo» e può riferirsi tanto a Dio che è geloso del suo popolo, quanto di uomini che ardono di zelo nei confronti del Signore e della sua Legge, come gli Zeloti, un movimento nazionalista che rivendicava l’indipendenza politica del regno ebraico e difendeva l’ortodossia religiosa. Possiamo certo pensare che, anche se non appartenne al gruppo degli Zeloti, Simone fosse un tipo pieno di zelo nel servire l’unico Dio. Una personalità agli antipodi di quella del pubblicano Matteo che, lavorando per il governo romano, era considerato dai Giudei un collaborazionista e disprezzato come un peccatore pubblico.      

La scelta del Signore Gesù, ben ponderata dopo un’intera notte di intimità con il Padre, è il segno di come gli uomini di ogni tempo vengono scelti e «edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22). Non in base a criteri di affinità elettive o di condivisioni politiche, ma a partire dalla valorizzazione dell’unicità di ciascuno che, davanti all’altro, sempre assume il volto di una diversità da conoscere, accogliere e amare. In una sua catechesi il santo Padre spiega: «Gesù chiama i suoi discepoli e collaboratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione. A Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, nel quale tutti si ritrovavano uniti. Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità» (Benedetto XVI, Catechesi del mercoledì, 11 ottobre 2006). 

La domanda con cui «Giuda, figlio di Giacomo» (Lc 6,16) si rivolge a Gesù durante l’ultima cena sembra proprio voler approfondire il mistero di questa bizzarra elezione di uomini così diversi tra loro e così ordinari rispetto agli altri: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?» (Gv 14,22). La risposta di Gesù non spiega ma rilancia, poiché chiunque crede nel suo amore e lo lascia dimorare nella propria vita diventa uno spazio di umanità liberata, dove altre diversità possono trovare riconoscimento e accoglienza: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (14,23).  

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