Lunedì - XXVI settimana del Tempo Ordinario - Anno I

Zc 8,1-8 / Sal 101 / Lc 9,46-50

PICCOLO È GRANDE


Il vangelo di ieri annunciava che per compiere «la volontà del Padre» e avanzare sulle strade del suo regno occorre saper andare oltre il nostro ‘sentire’, credendo che ci siano occasioni di vita e di crescita anche nelle cose che paiono incompatibili con la nostra momentanea disponibilità.

La liturgia di oggi segnala due modi particolari di sentire che si oppongono pericolosamente alla grazia di Dio e, segnatamente, alla logica del vangelo. Il primo si chiama rassegnazione, quel sottile torpore che soffoca la speranza e l’attesa di un futuro in cui possa rifiorire la vita per noi e per tutti, come Zaccaria rammentava a un popolo sfiduciato dopo il ritorno dall’esilio babilonese: «Così dice il Signore degli eserciti: Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze» (Zc 8,4-5). Il profeta era ben consapevole che volgere lo sguardo a un futuro troppo diverso e distante dal presente appare al cuore come illusione e impossibile sogno. Eppure solleva l’indispensabile interrogativo: «Se questa cosa sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?» (8,6).

Non meno incantata deve essere stata la voce con cui il Signore Gesù cerca di distogliere i discepoli dai loro progetti di grandezza, ponendo un «bambino» vicino a sé e indicando la legge del minimo al posto di quella del massimo, a cui sempre aspira il nostro cuore frustrato: «Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,48). Nella vita — umana e spirituale — i veri cambiamenti non avvengono quando puntiamo in alto o verso una narcisistica espansione del nostro io, ma quando puntiamo in basso, verso una seria e serena accettazione dei fragili confini che la realtà — anzitutto la nostra — continuamente pone in evidenza. Laddove noi siamo sempre persuasi che solo un intervento esterno — magari quello di Dio, il «Signore degli eserciti» (Zc 8,6) — possa cambiare velocemente le sorti sempre avverse, il vangelo annuncia che l’unico movimento che scioglie la paralisi della nostra umanità in realtà non sia altro che una lucida e amorosa accettazione di noi stessi e degli altri. Con la stessa assenza di pretese e di giudizi con cui, da adulti, si è capaci di accogliere la vita piccola e fragile di un bambino. 

Finché siamo convinti che solo l’ingrandimento dei nostri spazi e luoghi di potere sia via alla felicità restiamo pieni di pretese con noi stessi e di giudizio verso gli altri. Le parole di Giovanni tradiscono l’inganno che cova nel cuore di ogni discepolo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi» (Lc 9,49). Netta, immediata la replica del Maestro: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi» (9,50). La conversione non è un percorso impossibile. È oltrepassare la tristezza del cuore, accettare le legge del minimo. Scoprire che la realtà, così com’è, può diventare luogo e scuola di felicità. 

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