Letture: 1Gv 4,7-16 / Sal 34 / Lc 10,38-42
BRUTTE FIGURE
La memoria liturgica di Marta, sorella di Maria e Lazzaro, amica del Signore, ci offre un’insolita occasione: verificare su cosa è fondato il nostro rapporto di conoscenza e di amore (1Gv 4,8) con Dio attraverso l’amicizia con il «suo Figlio unigenito» (4,9). In particolare il vangelo di Luca – uno dei due testi evangelici tra cui possiamo scegliere per l’odierna celebrazione – ci incoraggia a misurare con quanta disponibilità sappiamo accogliere quei momenti in cui il nostro modo di stare davanti al Signore non è la postura più adatta per incontrarlo e ricevere il dono della sua presenza.
Marta apre la porta della sua casa a Gesù, il Maestro viandante, porgendogli il sempre gradito conforto di una «premurosa ospitalità». Questa cordiale espressione di amicizia e servizio è un tratto del volto di Marta che la liturgia non esita a trasformare in preghiera: «Dio onnipotente ed eterno, il tuo Figlio fu accolto come ospite a Betania nella casa di santa Marta, concedi anche a noi di essere pronti a servire Gesù nei fratelli, perché al termine della vita siamo accolti nella tua dimora» (colletta). Tuttavia la premura di Marta – come ogni nostro generoso slancio – ha bisogno di essere illuminata dalla parola del Signore. Infatti Marta, senza accorgersene, si ritrova a non godere della presenza dell’ospite d’eccezione, ma a essere «distolta per i molti servizi» (Lc 10,40). Accade con estrema facilità, ogni giorno, di scoprirsi più assorbiti dall’esigenza di esibire il volto migliore davanti agli altri che dalla libertà di poter essere e manifestare noi stessi. Ce lo insegna la vita, lo pretendono gli occhi che ci osservano: prima bisogna presentarsi bene, con le migliori doti in evidenza, poi, magari, viene il resto. Veniamo noi, se avanza tempo.
Questo modo di vivere, tutto condizionato dalle aspettative e dai narcisismi dell’anima, finisce presto o tardi in un’improvvisa sbottata: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (10,40). Marta non se la prende con Maria, tutta intenta ad ascoltare la parola di Gesù, ma direttamente con il Signore che sembra approvare questa ingiusta distribuzione dei ruoli. Non solo: impartisce a lui l’ordine di fare qualcosa per cambiare la situazione. La reazione del Maestro non è meno sconcertante: nessun tentativo di tranquillizzare Marta, non una parola rivolta a Maria. Con due frasi, che non aspettano e non ricevono alcuna replica, il Signore trasforma una brutta figura in una bella notizia: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (10,41-42). Marta non viene né rimproverata, né messa in ridicolo per il suo inutile affanno. Le viene annunciato un vangelo di cui, in qualche modo, non si è ancora accorta. Nella sua casa è entrato uno che non va amato e conquistato come tutte le cose della vita, ma uno da cui è possibile lasciarsi amare, davanti a cui è possibile essere e rimanere se stessi: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10).
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