Ss. Pietro e Paolo

Letture: At 12,1-11 / Sal 33 / 2Tm 4,6-8.17-18 / Mt 16,13-19


COLONNE AUTENTICHE


Da sempre il martirio degli apostoli Pietro e Paolo è celebrato dalla liturgia congiuntamente. Dalla loro esperienza di fede, scaturisce una testimonianza rocciosa su cui la «Chiesa di Dio» (Gal 1,13) si può continuamente edificare e rinnovare. Se diverso è stato il modo con cui essi hanno incontrato, seguito e servito il Signore Gesù, abbastanza simile si rivela invece l’itinerario che entrambi hanno dovuto compiere per giungere a capire «ciò che stava succedendo» loro: una splendida «realtà» (At 12,9) suscitata da Dio e non dipendente dai loro meriti o dalla forza delle loro intenzioni. Il pescatore diventato «pietra» (Mt 16,18) della comunità cristiana e il fariseo capace di estendere «l’annuncio del Vangelo» a «tutte le genti» (2Tm 4,17) hanno scoperto di essere stati scelti «fin dal seno» (Gal 1,15) materno per una singolare missione: rivelare attraverso la loro vita e la loro «morte» (Gv 21,19) il «Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,15). Per adempiere questo mandato hanno affrontato ambienti impermeabili alla predicazione del Regno, spesso caparbiamente ostili alla logica delle beatitudini.


Simon Pietro ha sperimentato forti avversità già a Gerusalemme, dove è stato gettato «in carcere» (At 12,4) ma poi liberato grazie alla preghiera dei fratelli e all’azione di Dio. Anche per Paolo la predicazione è stata una vera e propria «battaglia» (2Tm 4,7) che ha incontrato notevoli resistenze, soprattutto da parte dei suoi connazionali. Tuttavia anch’egli è stato «liberato dalla bocca del leone» (2Tm 4,17) e ha compreso che «la parola di Dio» non può essere «incatenata» (2Tm 2,9) da niente e da nessuno. Infatti, mentre si chiudeva la porta verso i Giudei, si spalancava quella che conduceva verso i pagani. Attraverso innumerevoli prove, Pietro e Paolo hanno capito che il Signore può di liberare l’uomo «da ogni male» (2Tm 4,18).


Ma, ancor più radicalmente, i due apostoli sono diventati intrepidi missionari del Vangelo soprattutto dopo aver affrontato il più cocente dei fallimenti: la morte del proprio io. Pietro ha dovuto accettare di essere un rinnegatore prima di poter svolgere il ministero di pastore, Paolo di essere un feroce persecutore prima di diventare lo stupendo cantore della carità di Dio.


I santi Padri amavano paragonare Pietro e Paolo a due autentiche colonne, sulle quali si regge l’intero edificio della Chiesa. La comunità cristiana sparsa per il mondo intero, in questo giorno, è chiamata ad approfondire il proprio legame con la loro testimonianza. L’itinerario del cammino di purificazione che essi hanno percorso rammenta a ogni credente in Cristo che «né carne né sangue» (Mt 16,17) — «né argento né oro» (At 3,6) — possono portare a compimento il desiderio di fare della vita un dono d’amore. Unicamente il mistero della propria debolezza, pazientemente e continuamente accolto «nel nome di Gesù Cristo» (3,6), garantisce l’espansione del cuore fino all’amore più grande, arricchendo il tesoro della chiesa di quella luce vera che illumina ogni uomo perché capace di affrancare tutto l’uomo «da ogni paura» (Sal 33,5). Soprattutto quella di non sentirsi mai degno fino in fondo di ricevere da Dio un’offerta di comunione incondizionata: «Seguimi» (Gv 21,19).


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