Solennità di Pentecoste – Anno A

Letture: At 2,1-11 / Sal 103 / 1Cor 12,3-7.12-13 / Gv 20,19-23


SBLOCCATI



Nel giorno di Pentecoste la verità della Pasqua si manifesta pienamente: il Signore risorto ci dona il suo Spirito, affinché entriamo in una vita nuova, libera dalle ambiguità, affrancata dai pesi inutili, felice di essere chiamata a grandi responsabilità. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, la comunità dei credenti ritorna a «quel giorno» (Gv 20,19) in cui la vita risorta del Dio fatto carne ha iniziato a dimorare nell’esistenza illuminata e spaventata dei suoi discepoli.


Bloccati

Pietro e gli altri dieci erano avvolti in un grande sconforto. La paura di fare la stessa fine del Maestro li costringeva a restare nascosti, lontani da una testimonianza al vangelo che ancora non si sentivano di poter dare. Infatti «erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano» (20,19). Il motivo è stato scritto: «per timore dei Giudei» (20,19). Non sono state annotate, invece, le parole che si dicevano tra loro. Forse perché non ce n’erano. Bastava il rimbombo di quel silenzio di sconfitta, il linguaggio perfetto del timore che si rassegna e si rannicchia. Eppure, diversamente da come pensiamo, la paura non è sinonimo di paralisi e di immobilità. L’analisi etimologica ci dice che avere paura (in greco fobeomai) significa in realtà darsela a gambe (febomai). Questo, in effetti, era ciò che facevano in quei giorni i discepoli: scappavano da coloro che avevano appeso a una croce Gesù di Nazaret. Anche noi spesso ci sentiamo fermi, nonché amareggiati nell’osservare come la nostra vita fatichi a cambiare. Forse ci è utile capire che, per quanto amiamo concepirci come persone molto libere e spontanee, abbiamo anche noi parecchi nemici da cui quotidianamente scappiamo. Per paura, of course. Tutti, infatti, abbiamo avuto esperienze ci hanno traumatizzato, ferito, svuotato. Ebbene, qui, nel recinto chiuso delle paure, avviene il dono dello Spirito.


Sbloccati

«Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!” (20,19). Quello che nessuno osava immaginare o sperare avviene: il Signore risorto torna in mezzo ai suoi amici. Senza alcun risentimento, senza rabbia, senza nemmeno quel sottile senso di superiorità che si prova quando si esce vittoriosi da un confronto. Anzi, la prima cosa che il Signore decide di fare è mostrare chiaramente gli enormi limiti accumulati durante la sua missione, i segni della passione: «Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco» (20,20). Un sorriso gigante sorge spontaneo davanti a tanta, sconcertante mitezza: «E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Ma al Signore non basta restituire buon umore; si spinge oltre. Dice loro: «Pace voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Pace significa benessere, pienezza, abbondanza. A persone che si sentono vuote, il Signore Gesù dichiara la possibilità di una vita senza vuoti, perché sa bene che la paura si vince solo così. Non con una rassicurazione, ma con una speranza di pienezza. Dio non conosce modo migliore per farci credere a questo annuncio se non quello di affidarci una missione. Per questo il Signore compie un gesto di (ri)creazione sui discepoli, soffia e dice loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (20,22-23). Coloro che hanno tradito, rinnegato, alzato i tacchi nel momento cruciale sono chiamati a donare ciò che hanno ricevuto: l’annuncio di un amore fedele e vero. Quello di Dio.


Comunicativi

I discepoli sono stati raggiunti nel loro linguaggio di paura. Il loro vuoto è stato colmato di perdono, amore, vita nuova da gustare e annunciare. Ecco perché, nel giorno di Pentecoste, hanno saputo lasciarsi così tanto alle spalle paure e timori da saper narrare a tutti le «grandi opere di Dio» (At 2,11). La loro esperienza personale di risurrezione dalla paura di morte è diventata una chiave universale che apre la porta di ogni cuore, tra lo stupore di tutti: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (2,8). «Dissetati» (1Cor 12,13) dallo Spirito promesso dal Maestro Gesù, hanno gridato la gioia della Pasqua senza valutare le conseguenze: «Gesù è Signore» (12,3). Diventare cristiani adulti significa accettare di vivere «sotto l’azione dello Spirito Santo» (12,3), offrendo umilmente la propria vita «per il bene comune» (12,7). E accogliere con responsabilità la missione di portare ai fratelli e alle sorelle in umanità la notizia che i nostri fallimenti non sono più un luogo di disperazione, ma un'occasione di incontro con l’amore infinito di Dio. Non c’è alcuna vanità o supponenza in questo compito. Semmai l’imbarazzata e lieta accettazione di un servizio. Infatti, chi può portare l’annuncio di un amore, se non chi lo ha ricevuto e ne ha fatto esperienza? Chi può mostrare al mondo il volto di Cristo, se non coloro che liberamente hanno scelto di appartenergli? Chi se non noi, cristiani?


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