Venerdì - II settimana di Pasqua

Letture: At 5,34-42 / Sal 26 / Gv 6,1-15


(CON)DIVIDERE



In questi giorni di Pasqua ascoltiamo parole di vita (cf. lunedì) attraverso le Scritture: ci può bastare il volto del Padre (martedì) per stabilire nuovi rapporti con noi stessi e con gli altri, rapporti fondati sull’amore, quella forza capace di infrangere le sbarre (mercoledì) e che possiamo vivere nello Spirito del risorto, donato a noi senza misura (giovedì). Magnifico! Ma come attuarlo nella vita di tutti i giorni? A volte le cose belle promesse dal Signore sembrano così utopiche, così incompatibili con le mille difficoltà della vita quotidiana.


La stessa sensazione deve aver attraversato la mente di Filippo, quando Gesù, vedendo «una grande folla che veniva da lui», disse: «Dove potremmo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?» (Gv 6,5). Non era ingenuo il Maestro, stava iniziando a mettere «alla prova» (6,6) la disponibilità dei suoi amici ad accogliere la logica folle e rivoluzionaria delle beatitudini. Filippo valuta la situazione con uno sguardo economico e prudente, pieno di buon senso: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» (6,7). L’analisi è veloce e perfetta: non si può fare nulla davanti a un problema così grande; meglio congedare la folla e non farsi troppe illusioni. Ma la situazione si sblocca quando un «ragazzo» ha il coraggio di svuotare le tasche per condividere il poco che ha: «cinque pani d’orzo e due pesci» (6,9). Davvero poco, anzi pochissimo «per tanta gente» (6,9). Eppure al Signore questa piccola misura offerta con prontezza e generosità sembra sufficiente. Dice infatti ai discepoli di non congedare la folla, ma ordina esattamente il contrario: «Fateli sedere». E poi fa una (con)divisione che sazia tutti: «Prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanti ne volevano» (6,11). Sia la gente sia i discepoli fraintendono il segno, pensando che finalmente è giunto «il profeta, colui che viene nel mondo» (6,14). Una simile persona, in grado di risolvere i problemi fondamentali della vita, merita di essere il re davanti a cui prostrarsi. Nessuno che capisce che Gesù intendeva altro con quel segno: il poco che abbiamo può diventare nutrimento per tutti se siamo a disposti a condividerlo, senza (s)cadere in depressioni o in deliri di onnipotenza.


Questa fu esattamente l’esperienza che i discepoli si trovarono a vivere dopo la Pentecoste, quando si accorsero di essere così liberi di fronte alla paura di morire da saper condividere l’annuncio «che Gesù è il Cristo» (At 5,42), restando profondamente «lieti» anche nelle persecuzioni sofferte «per il nome di Gesù» (5,41). Risorgere con Cristo significa imparare a offrire senza paura quello che abbiamo e, soprattutto, ciò che siamo. Per non correre il rischio di ritrovarci a «combattere contro Dio» (5,39) nascondendo sotto terra le cose belle che egli ha voluto affidare alla nostra sensibilità e creatività. Le cose che le nostre mani sono capaci di compiere.


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