Martedì della Settimana Santa

Letture: Is 49,1-6 / Sal 70 / Gv 13,21-33.36-38


NON (ANC)ORA



Dopo averci esortato in ogni modo a seguire più seriamente e più amorevolmente il Signore Gesù nel suo cammino, la Quaresima alla fine sembra quasi volerci impedire qualsiasi passo di avanzamento, come già capito ai primi discepoli. Nella debolezza di Giuda che tradisce e nella sicumera di Pietro che rinnega, contempliamo oggi quella parte della nostra umanità che non può entrare in alleanza con Dio prima di essere raggiunta e salvata dal suo amore.


Il Maestro non è un ingenuo, conosce bene coloro che ha scelto, la loro fragilità e la loro durezza di cuore. E, forse, dopo tre anni di vita insieme a loro, nel suo animo si leva lo sconforto di chi non vede ancora i frutti di tanta generosa semina: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze» (Is 49,4). Ma più forte è sicuramente la testimonianza interiore dell’amore fedele del Padre, che il Signore Gesù riconosce dentro di sé come una parola sicura e degna di fede: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (49,3). Il Maestro comprende che è giunta un’ora assai speciale, nella quale a nulla varrebbe scappare o rinunciare. È giunta l’ora in cui il profumo dell’amore di Dio ha bisogno di diventare come una luce che si irradia fino a raggiungere i confini estremi della vita e della morte.


Davanti a questa espansione luminosa ci sono però due persone che non riescono ad accogliere la gratuità del dono. Di fronte al profumo dell’Uomo autentico, rimane l’odore stagionato degli uomini, l’acerba fragranza dei discepoli ancora così ignari del dono di Dio e inconsapevoli della loro povertà. Giuda ha ormai meditato di tradire il Maestro perché non condivide il modo con cui «Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito» (Gv 13,32). Gesù denuncia l’inciampo presente nel cuore di Giuda con un gesto finissimo, con il quale trasforma il tradimento in volontaria consegna: intinge un boccone e glielo porge (cf 13,26). Ma c’è anche Pietro, che rimane sconfitto dalla sua volontà di potenza: «Darò la mia vita per te!» (13,37). Risponde a lui Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte» (13,38). Il problema di Pietro è ancora più grave di quello di Giuda, perché è velato, si nasconde sotto un manto di eroico zelo. Pietro non ha ancora capito che essere discepoli non significa dare la vita per Dio, ma accogliere la sua vita offerta per noi e, successivamente, restituirla ai fratelli per amore.


Se in Giuda vediamo il male da cui siamo salvati, in Pietro possiamo riconoscere il bene da cui il Signore deve salvarci. Il primo e l’ultimo dei discepoli rappresentano la nostra umanità che inciampa davanti al gratuito effondersi della carità di Dio, un regalo che non possiamo né negare (Giuda) né conquistare (Pietro), ma che dobbiamo imparare a ricevere gratuitamente. Questo è ciò che il Signore Gesù cerca di dire con la sua accondiscendenza che si fa comando: «Quello che devi fare fallo, fallo al più presto» (13,27) e predizione: «Non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte» (13,38). Il Maestro ci parla in anticipo del nostro peccato, affinché possiamo comprendere che esso non è capace di arrestare il suo amore per noi. Il profumo di Cristo ha bisogno di effondersi proprio su questo odore di falso zelo (Pietro) e di virilità ferita (Giuda), dolcemente, senza paura, affinché si compia in noi e per noi ogni profezia di salvezza: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno sopraffatta» (Gv 1,5).


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