Lunedì della Settimana Santa

Letture: Is 42,1-7 / Sal 26 / Gv 12,1-11


IN PUNTA DI PIEDI



Ascoltando il Vangelo di oggi, veniamo tutti raggiunti dalla fragranza di quel «profumo» che un giorno ha riempito «tutta la casa» degli amici di Gesù (Gv 12,3). Lazzaro era uscito vivo dal sepolcro, la gioia incontenibile si era trasformata in una fraterna cena: «Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali» (12,2). Maria invece, letteralmente fuori di sé, trasforma la sua allegria in sconfinata gratitudine: «Prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli» (12,3).


Il cammino verso il triduo pasquale inizia così, con un’eccessiva ondata di profumo – trecento denari di profumo erano circa un anno di stipendio – in cui si prefigura e si intuisce tutto il significato della passione del Signore Gesù. Il linguaggio della Pasqua si esprime e si comprende nel campo dell’amore, dove la ragionevolezza, il calcolo prudente, la convenienza devono cedere il passo alla lucida follia del dono gratuito. Maria ha compreso la segreta bellezza del Cristo. Nello strano modo con cui Gesù ha atteso e poi liberato Lazzaro dal cattivo odore della morte, Maria ha intuito che il «servo» (Is 42,1) di Dio è ormai giunto nel mondo per donare gioia e salvezza. Lo farà però umilmente, con estrema delicatezza: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,3). Come un profumo, appunto, impalpabile realtà che giunge ovunque, cambiando tutto senza alterare nulla. La salvezza cristiana non è l’abolizione dei limiti creaturali e di quelli generati dal cattivo uso della nostra libertà, ma è amore che cosparge di speranza ogni paura di vivere e di morire. È profumo che restituisce dignità a ogni cosa. Persino al peccato e alla morte.


Non è scontato capire e apprezzare questa paradossale modalità di salvezza. C’è in noi una parte così abituata a credere che vivere consista nel possedere e dominare, da non poter far altro che puntare i piedi di fronte alla logica delle beatitudini: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (12,5). In Giuda vediamo rappresentata tutta «l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale» (colletta), che fa fatica a credere nella mite potenza dell’amore. Ma il Signore comanda al suo amareggiato discepolo: «Lascia» (12,7). Solo obbedendo a questo imperativo si entra nella festa di Pasqua: posando le armi, rinunciando ai giudizi, disobbedendo alle lamentele del cuore. In punta di piedi.


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