Lunedì - VII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sir 1,-10 / Sal 92 / Mc 9,14-29


SOLO LA PREGHIERA



L'episodio del giovane ‘epilettico’ rivela profondità drammatiche e insospettabili del nostro rapporto di fede con il Signore. Ci mostra qual è il male che tiene segregato il nostro cuore fin «dall'infanzia» (Mc 9,21), in che cosa consiste la nostra «incredulità» (9,24) e come non – tutto sommato – non sappiamo cosa diventi possibile quando ci si immerge «nella preghiera» (9,29) e nell’amore del Padre.


Lo spirito impuro che sconvolge la vita del giovane viene definito da suo padre «muto» (9,17). Questa descrizione tradisce la diffusa sottovalutazione del male che abita ogni «generazione incredula» (9,19). Spesso riteniamo che il problema di fondo della vita si possa identificare con una certa incapacità di parlare, di essere pienamente conosciuti e serenamente accolto. Gesù però completa il quadro, definendo lo spirito «muto e sordo» (9,25). Non è un'aggiunta di poco rilievo, ma una vera e propria messa a fuoco di un male profondo, quella sordità radicale che impedisca l’ascolto delle domande fondamentali che la vita pone a tutti: «La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni dei secoli chi li potrà contare? L’altezza del cielo, la distesa della terra e le profondità dell’abisso chi le potrà esplorare?» (Sir 1,2-3). Spesso il mutismo che ci abita e ci circonda – quello che si esprime anche nell’attitudine al parlare banale e superficiale – non è altro che la desolata conseguenza di una scarsa abitudine all’ascolto, che è il respiro indispensabile al nostro cuore.


I movimenti angosciosi a cui il giovane è costretto esprimono in maniera plastica la situazione dell'uomo privo di quella sapienza che Dio non considera un tesoro geloso, ma «l’ha vista e l’ha misurata, l’ha effusa su tutte le sue opere, a ogni mortale l’ha donata con generosità, l’ha elargita a quelli che lo amano» (1,9-10). Il giovane viene trascinato qua e là, perde saliva e vita dalla bocca, digrigna i denti anziché lodare e diventa duro e secco, senza armonia e movimento. Siamo davanti all’uomo che è lontano dall’unica «fonte» di vita: la «parola di Dio nei cieli», che consente di camminare nelle «vie» dei «comandamenti eterni» (1,5). Questo male è comune a ogni «generazione», riguarda il rapporto tra padre e figlio, la trasmissione della vita e della sua sapienza. Ma questa problematica di fondo è pure la forza che autentica il confronto con Dio e libera la forza della preghiera: «Credo, aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24). Ci sono tensioni, ombre e angosce nel nostro vivere quotidiano che non possono essere allontanate «se non con la preghiera» (9,29). Solo nell’ascolto dell’amore e della volontà del Padre noi possiamo scoprire che non «è morto» nulla di ciò che è veramente importante, perché la nostra povera realtà è continuamente accolta dalla pazienza di Dio. Solo così la vita torna a essere un’equazione accettabile. Non perché i conti tornano, ma perché «tutto è possibile per chi crede» (9,23). Anche perseverare, con umile gioia. Nell’attesa che il giorno spunti di nuovo.


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