II domenica dopo Natale

Letture: Sir 24,1-4.12-16 / Sal 147 / Ef 1,3-6.15-18 / Gv 1,1-18


LUCE VERA



Dopo la scorpacciata di feste e preghiere, pranzi e cenoni, il tempo di Natale in questa seconda domenica continua ad approfondire il mistero dell'incarnazione di Dio, con l'intenzione di mostrare in quale «disegno d'amore» (Ef 1,5) la nostra esistenza sia collocata, su «quale speranza» (1,18) sia lecito fondare il cammino di questo nuovo anno.


Luci

Con pazienza e sapienza, la liturgia indugia ancora sul solenne prologo di Giovanni, già ascoltato nel giorno di Natale. Domina questa pagina poetica e teologica la metafora della «luce», presentata come forza creatrice che dona «vita» (1,4) a «tutto ciò che esiste» (1,3) e che si rivela imbattibile dall’oscurità: «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (1,5). Giovanni tesse la trama di questa riflessione facendo un esplicito riferimento alla Genesi, utilizzando il medesimo incipit letterario: «In principio» (Gv 1,1; cf. Gen 1,1). L’intenzione sembra piuttosto evidente: la venuta nella carne umana del logos eterno di Dio è paragonabile a una vera e propria ricreazione del mondo. Ma proprio il confronto con il racconto della Genesi ci mette subito in guardia dal rischio di restare confinati in un semplicistico stupore. Raccontando la creazione, l’autore sacro fa riferimento a una prima «luce» – che risponde al perentorio comando di Dio: «Sia la luce» (Gen 1,3) – e, successivamente, ad altre «luci» che assolvono il compito di distinguere e regolare il giorno e la notte (cf. Gen 1,14-16). Ci sono dunque luci e luci, o meglio luce e luci all’interno della realtà. Ciò corrisponde a quanto Giovanni si preoccupa di precisare più avanti nel prologo: «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). La festa della luce – che è il Natale – vuole sempre e anzitutto farci riguadagnare la necessaria distinzione tra le diverse luci presenti nel mondo e la luce del mondo, che è il «Figlio amato» (Ef 1,6) di Dio nel quale noi tutti siamo «figli adottivi» (1,5). Molti bagliori naturali accompagnano e indirizzano il nostro cammino nella vita, ma uno solo è il senso del nostro vagabondare in questo mondo. Paolo esclamerebbe senza esitazioni: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (1,3-4).


Luce

La luce vera – quella che si oppone alle tenebre ed è capace di vincerle – non è una fonte luminosa paragonabile alle altre, peraltro indispensabili alla vita ordinaria del mondo, come il sole, la luna e le stelle. La luce vera è il senso profondo della realtà, un mistero di amore grandissimo e inarrestabile che coincide con la realtà di Dio e del suo eccedente amore. Tuttavia, questa luce autentica, in rapporto alla specie umana, deve affrontare l’incontro – mai scontato – con il mistero di un’altra libertà, la nostra: «Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,10-11). Indubbiamente la capacità di vedere le cose con gli occhi del corpo è un dono splendido, che non tutti hanno. Ma saper vedere le cose non basta a una vita vera, occorre capirne anche il senso, saper vedere la loro verità, cioè il loro significato. Per vedere la realtà è sufficiente un attimo, per capire il senso di una storia – la nostra magari – talvolta non basta una vita intera. E – purtroppo o per fortuna – felici possiamo esserlo soltanto nella misura in cui riusciamo a cogliere quale «tesoro» sia nascosto nel groviglio dei nostri giorni, dei nostri sorrisi e dei nostri sbagli, quale «speranza» (Ef 1,18) il Signore stia porgendo al nostro cuore.


Vedere

C’è una verità da ammettere: finché non siamo in grado di vedere le cose a partire da quel disegno d’amore che è Cristo – il «Figlio amato» (1,6) – e non riusciamo a scorgere Cristo nelle cose – belle e brutte – la luce vera non illumina ancora i nostri occhi e il nostro cammino. Questo è il motivo per cui la realtà è capace di rattristarci, paralizzarci, impaurirci con i suoi avvenimenti quotidiani, che non riusciamo a leggere se non alla luce dei criteri di questo mondo. Così una solitudine ci appare come una sfortuna, un malessere come un problema da scansare, un colpo ricevuto come un’ingiusta punizione. Chi accoglie la luce di Cristo – cioè chi si lascia trasformare dalla sua umanità povera e umile – inizia invece a vedere altro nella realtà: un’occasione di imparare a perdonare dentro un tradimento, un’occasione di crescita in un momento difficile, un’occasione di abbandonarsi a Dio dentro uno sconcertante imprevisto. Non perché il cristiano sia una specie di visionario o sognatore, ma perché – accogliendo il Figlio di Dio – si scopre capace di vedere nella realtà il «potere» (Gv 1,12), l’incessante occasione, di diventare anch’egli figlio di Dio. Questa grazia non è un regalo scontato. Per accoglierla occorre saper rinnegare, con estrema lucidità, tutte le altre luci a cui, ordinariamente, affidiamo i nostri passi. Bisogna essere disposti a riconoscere che molta della nostra vita è ancora nascosta dalla luce. Quando infatti siamo abituati alla penombra detestiamo una luce forte che intende squarciare le nostre tenebre. Solo nella misura in cui rinneghiamo le nostre tenebre ci possiamo consegnare al rischio della luce vera, quella che vuole illuminare ogni uomo e tutta la nostra umanità. Il Natale scardina le imposte delle nostre tane e chiede di abitare, illuminare gli spazi della nostra rassegnazione. Con la sua immensa, incredibile notizia, il Natale comunica la gioia di una verità che nessuno di noi potrebbe darsi, ma – soprattutto – che niente e nessuno può toglierci: siamo figli di Dio. Scelti, pensati, amati, voluti da sempre, per sempre. A Dio è capitato di avere dei figli, e questi figli siamo noi. Questa meraviglia – che non è poesia ma realtà - è ciò su cui si può fondare la speranza per questo nuovo anno. Il titolo del nuovo capitolo che stiamo per scrivere nel libro della nostra vita.

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