Santa Famiglia - Anno A

Letture: Sir 3,3-7 / Sal 127 / Col 3,12-21 / Mt 2,13-15.19-23


SOGNO



La festa odierna della santa Famiglia di Nazaret è un magnifico corollario al mistero dell’incarnazione, che allarga l’orizzonte della nostra contemplazione e della nostra speranza. Assumendo ‘la vera carne della nostra umanità e fragilità’ (san Francesco), Dio non ha voluto soltanto mettersi nei nostri panni e sperimentare l’umiltà della condizione creaturale. Egli ha scelto di diventare membro della famiglia umana famiglia, rivelandoci che il mistero di un’esistenza diventa autentico solo nella misura in cui accetta di inserirsi dentro una trama di rapporti con l’altro.


Già la sapienza antica dipingeva la famiglia naturale come il luogo originario dove si sperimenta che la vita precede e oltrepassa chiunque ne faccia esperienza. I genitori devono riconoscere che il loro «diritto» sui «figli» e «sulla prole» (Sir 3,2) è dono e benedizione di Dio. I figli, da parte loro, sono tenuti a mostrare obbedienza, solidarietà e comprensione al padre e alla madre, dando loro il dovuto onore. Questa mutua appartenenza, nella quale ciascuno è chiamato a riconoscere la gravità e l’importanza che la vita dell’altro ha rispetto alla propria, è la via naturale attraverso cui si accumulano «i tesori» (3,4) della «consolazione» (3,5) e della «gioia» (3,6).


In seguito alla scelta di Dio di far abitare in mezzo a noi tutta la «sua ricchezza» (Col 3,16), attraverso il Natale del suo Figlio, questa esperienza umana è chiamata a diventare persino più grande e preziosa, potendosi rivestire dei «sentimenti» (3,12) e della «pace di Cristo» (3,15). Negli atteggiamenti silenziosi di Maria e Giuseppe, che accolgono e custodiscono con coraggiosa premura la vita di Gesù, si svela ai nostri occhi l’abito «della carità» che, una volta indossato, «unisce in modo perfetto» (3,14) le nostre esistenze, facendole diventare «un solo corpo» (3,15).


L’occhio dell’evangelista Matteo concentra la sua attenzione sulla figura di Giuseppe, l’amorevole capofamiglia sempre pronto a mettere da parte se stesso per assumere quei sentimenti di «tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (3,12) che risplenderanno nel volto e nel vangelo di Cristo. Il segreto di quest’uomo, che non dice nulla ma fa tutto ciò che serve affinché il disegno di Dio si compia, sembra essere legato alla disponibilità con cui i suoi sogni umani si lasciano trasformare continuamente nel «sogno» di Dio. Per ben quattro volte (Mt 1,20; 2,13.19.22) - tre delle quali nel vangelo di oggi - quest’uomo «giusto» (1,19) permette al Signore di prendere «con sé» (1,24) il progetto che egli aveva sulla sua vita e sulla sua famiglia per riceverlo indietro come una chiamata ad uscire da se stesso: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi...va’ nella terra di Israele...» (2,13.20). La Santa Famiglia si mostra a noi come un modello di vita proprio in virtù di questo atteggiamento di amore, che si esprime nel prendere l’altro così com’è e non come noi vorremmo che fosse, che accetta di alzarsi nel cuore della «notte» (Mt 2,14) per affrontare il viaggio verso le promesse di Dio. Nella misura in cui accettiamo di assumere la vita dell’altro come parte irrinunciabile della nostra stessa vita, il «sogno» dell’incarnazione si rinnova e i nostri rapporti diventano luogo santo, spazio di salvezza dove la «parola di Cristo» (Col 3,16) ancora si compie.


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