Martedì - XVII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Ger 14,17-22 / Sal 79 / Mt 13,36-43


MEZZO PIENO



Il cielo era sigillato in quei tempi, il «terreno screpolato»; non cadeva più «pioggia nel paese» (Ger 14,4) di Israele. Un’interminabile «siccità» (14,1) aveva messo a dura prova il popolo, provocando una «ferita mortale» (14,17), un tempo di «terrore» (14,19). Erano crollati i punti di riferimento, le sicurezze un vago ricordo: «Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere» (14,18). Restavano solo le domande dell’angoscia e della disperazione: «Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpiti, senza più rimedio per noi?» (14,19).


Talvolta la realtà non appare in altro modo se non nella forma sconveniente e dolorosa di un mistero inaccessibile. Un bicchiere assolutamente mezzo vuoto, che fa grondare «lacrime notte e giorno, senza cessare» (14,17). Una partita che non riusciamo più a giocare, in cui «non c’è alcun bene» (14,19) ai nostri occhi. Forse questa coscienza deve aver indotto i «discepoli» del Maestro Gesù ad avvicinarsi a lui per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (Mt 13,43). Il presagio che la parabola contenesse una speranza insolita, troppo bella aveva probabilmente affascinato i seguaci di Cristo, lasciando in loro lo stimolo a cercare un’approfondimento, un’ulteriore spiegazione.


Il Signore Gesù ribadisce i termini dell’insegnamento parabolico, illustrando i dettagli con precisione: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo» (13,37-39). Il mondo è coltivato ‘a bene’ e non ‘a male’. Gli «scandali e le «iniquità» (13,41) sono frutto di un’azione di disturbo del diavolo. Nonostante il bene e il male, prima della «fine del mondo», possano convivere nel medesimo terreno, molto diverso sarà il loro destino: «Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» (13, 41-42).


Sì, i discepoli avevano proprio capito bene! Il male è privo di futuro, non può durare in eterno, poiché non viene da Dio. Solo l’amore resta e non va perduto mai. La parabola della zizzania vuole alimentare la pazienza e l’ottimismo che il nostro cuore conosce a causa del vangelo. Di fronte alle grandi opere che il Signore ha compiuto per noi, fino a proclamare la nostra vita più importante persino della sua sulla croce, a noi non resta che esclamare sempre: «In te noi speriamo, perché tu hai fatto tutto questo» (Ger 14,22). Vedere il bicchiere della realtà mezzo pieno non è roba da visionari o da sempliciotti. È semmai lo sguardo dei lottatori miti, dei discepoli di un Dio potente nella compassione, che pone la «fine del mondo» in ciò che fin d’ora possiamo umilmente fare: rigettare il male e compiere il bene. Nell’attesa serena di quel giorno in cui gli uomini e le donne, finalmente giusti, «splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,43).


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