VI Domenica di Pasqua – Anno C

Letture: At 15,1-2.22-29 / Sal 67 / Ap 21,10-14.22-23 / Gv 14,23-29


SE (E SOLO SE)



I momenti più difficili e traumatici della vita nascondono una gloria e offrono imprevedibili possibilità di amore, diceva il vangelo di domenica scorsa. E amare, in fondo, è il motivo per cui esistiamo in questo mondo. Il nostro cuore gode di una certa autonomia, rivelandosi capace di legarsi a tante cose, a tante persone. In questa domenica del tempo Pasquale che precede l’Ascensione e, finalmente, la Pentecoste, il Signore Gesù rivendica il diritto di poter ricevere una parte della nostra affettività. Assicurandoci che ne vale proprio la pena. Per lui e per noi.


Eventualità

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Quando ascoltiamo una frase ipotetica, siamo frequentemente tentati di sospendere subito l’ascolto. Sappiamo bene che i ‘se’ nascondono molte insidie, essendo spesso preludio di quel modo ricattatorio con il quale siamo soliti rivolgerci gli uni gli altri. ‘Se mi amassi, certo capiresti che...’; ‘Se mi volessi davvero bene, sapresti anche...’; ‘Se fossi davvero un bravo papà/mamma/figlio/ecc., dovresti comportarti in un altro modo...’. Quante volte ci siamo sentiti dire simili frasi, da chi ci sta accanto oppure dalla voce della nostra coscienza?! E invece la parola del Maestro non è affatto un’ipotetica del ricatto, ma dell’eventualità. Ci annuncia una possibilità, ci svela un orizzonte; ci allarga il cuore ad una speranza piena di regali.


Prima di lasciare questo mondo e di amarci fino alla fine, il Signore ha voluto porre l’amore verso di lui come la forza di Archimede che tiene a galla il nostro essere discepoli. Non c’è supplica e non c’è ricatto, solo una straordinaria proposta: se amiamo il Figlio diventiamo dimora di lui e del Padre suo, tempio amato dove la sua parola è custodita e osservata. La vita cristiana non inizia e non riparte mai come un dovere, ma come un’allegria che si espande a macchia d’olio. Noi ci scopriamo capaci di osservare i comandamenti di Dio e la proposta di vita del vangelo, nella misura in cui stabiliamo un rapporto di affetto con il Signore Gesù. Finché non (ri)troviamo questa sintonia di amore, tutto resta difficile, per non dire impossibile. La chiesa ci appare solo come una pesante struttura, i sacramenti complicate liturgie avulse dalla quotidianità, la morale una fitta rete di precetti e divieti difficile da osservare; rischio che la prima comunità cristiana ha subito avvertito (cf. I lettura). Se ci accorgiamo che al centro del nostro essere cristiani c’è soltanto un Signore che ci ama e che noi possiamo amare, ogni cosa ritrova i suoi contorni e scopriamo di poter vivere davvero un’esistenza felice, abitata da Dio, che ci dà gioia e dignità.


Ispiràti

Se amiamo Gesù, il suo Spirito comincia a lavorare dentro di noi: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (14,25). Lo Spirito Santo, la presenza di Dio che abita in noi in virtù del battesimo, è chiamato dal Maestro Gesù il Paràclito, che significa avvocato, colui che è chiamato accanto come difensore in un processo giuridico. Questa era la prassi nei tempi antichi: chi poteva permetterselo, disponeva di un avvocato che, durante il dibattimento giudiziario, suggeriva quando parlare e quando tacere, cosa dire e cosa non dire. È una metafora molto bella e consolante per la nostra vita di tutti i giorni, che non di rado si trasforma in un processo costante, nel quale siamo interrogati e chiamati a rendere ragione dei nostri comportamenti. La vita infatti ci chiede continuamente di essere all’altezza di numerose sfide, a cui spesso non siamo in grado di corrispondere. Lo Spirito Santo è quella guida interiore che ci aiuta ad affrontare tali sfide nel modo giusto, senza esaltarci né abbatterci. Il suo aiuto si esprime soprattutto nell’insegnarci il modo con cui ogni cosa può essere fatta affinché sia conforme alla volontà di Dio e, quindi, alla nostra gioia. Senza imposizione, ma pure senza timore, lo Spirito Santo risveglia dentro di noi la memoria degli insegnamenti di Cristo, luce per il cammino di ogni giorno.


In pace

Questo discorso, che vuole renderci discepoli capaci di camminare senza rimanere aggrappati alle gonne del Maestro, è molto bello. Ci spalanca un orizzonte in cui la vita non si gioca soltanto su regole e schemi, ma dentro i confini di una profonda attenzione a quello che la voce e la forza di Dio dicono al nostro cuore. Una vita spirituale ricca di interiorità, profonda, libera, umanizzante. Ma è pure un discorso destabilizzante, perché ci strappa via alcuni punti di riferimento. Il Signore lo aveva intuito subito, guardando il volto confuso dei suoi discepoli, ai quali aveva aggiunto: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (13,27). Nel consegnarci l’ipotesi dell’amore che ci fa discepoli maturi e responsabili, Gesù ci ha anche consegnato una pace. Diversa da quella che il mondo è capace di darci, e poi di toglierci. È la pace di chi, sentendosi profondamente amato, non ha più paura di interpretare la vita come un servizio e una missione, di rischiare la propria «vita per il nome del Signore Gesù Cristo» (At 15,26). Di chi, avendo ormai davanti agli occhi il volto del Padre, accetta di camminare umilmente verso quella città eterna dove non servirà più né tempio, né luce. L’amore del Padre e dei figli sarà sufficiente a tutti in tutto.


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