Domenica di Pentecoste

Letture: At 2,1-11 / Sal 104 / Rm 8,8-17 / Gv 14,15-16.23-26


I LINGUAGGI DELL’AMORE



Unica lingua

Il racconto muove i passi da una situazione visibilmente idilliaca: «Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» (Gen 11,1). Che bello: gli uomini avevano un solo linguaggio, adoperavano le stesse parole. Viene da immaginare una facilità di comunicazione, nel parlare e nell'ascoltare. Poi però succede qualcosa: «Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono» (11,2). L'oriente è nella simbolica biblica la sede del Dio vivente, poiché è il versante da cui sorge il sole con la sua invincibile luce. Gli uomini, inspiegabilmente, volgono le spalle a questa sorgente, forse alla ricerca di qualcosa di diverso. Cosa gli manca? Cosa vanno cercando? Gli uomini «si dissero l’un l’altro: ‘Venite, facciamoci mattoni e cuciniamoli al fuoco’. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: ‘Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra’» (11,3-4). Ecco gli uomini gettarsi in una febbrile attività, tutta volta alla ricerca di una statura e di un nome. La Scrittura ci racconta di questo esemplare tentativo dell’uomo di assicurarsi un’identità forte, sfuggendo all'insicurezza e alla paura che la pianura della vita getta prima o poi in ogni cuore. Purtroppo l’uomo compie questo tentativo volgendo le spalle all’oriente, cioè a Dio, e alla diversità che egli ha posto nella sua creazione. Di questo pericoloso progetto, il Signore si accorge subito: «Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Ecco, essi sono un unico popolo e hanno un’unica lingua; questo è l'inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile» (11,5-6). Dio non toglie immediatamente la libertà all’uomo, anche quando egli la utilizza male, per farsi un nome con le proprie forze, per annullare le differenze che non sa accettare. La difficoltà di comporre in armonia di amore la diversità rappresentata da quel mistero che è ogni uomo e ogni donna, induce l’uomo a porsi in una logica edilizia, dove tutto e tutti diventano mattoni da sacrificare per il progetto. È il rischio - gravissimo - che corre ogni forma di aggregazione umana: un’amicizia, un’amore, una famiglia, una comunità religiosa, una parrocchia, un movimento, la chiesa stessa nel suo insieme. Anziché diventare un luogo dove il mistero della vita si accoglie e si sviluppa nella mitezza dell’amore, la comunità si trasforma in delirante progetto espansionistico, dove le singolarità vengono soffocate e sacrificate, in nome di una ragione più grande. Ma Dio interviene: «Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro» (11,7). L’azione di Dio non è volta ad assegnare una punizione all'uomo prometeico, che sta comportandosi con orgoglio e superbia. La confusione delle lingue intende condurre l’uomo a gustare il frutto amaro del suo progetto insensato: «Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra» (11,8-9). Babele ci ricorda che esiste in noi una logica balorda che nasce dall'insicurezza e si esprime in tutte le forme sociali con cui ci illudiamo di costruire grandi imprese, ma in realtà stiamo cercando di annullare il mistero di quella differenza che siamo noi e che sono gli altri. Questa è «l’unica lingua» che tutti quotidianamente parliamo, quella fasulla comunicazione che trascura l’altro e ci getta nella prigione della solitudine.


Lingue diverse

All'ombra della torre di Babele, il racconto della Pentecoste diventa estremamente chiaro e luminoso. Quello comunicazione tra diversità che gli uomini da sempre non riescono a compiere, viene donata «all'improvviso» (At 2,2) agli apostoli riuniti «tutti insieme» (2,1) nel comune ricordo del Signore Gesù. I discepoli non erano ancora usciti dalla logica di Babele; la speranza che Cristo avrebbe ricostruito la ‘torre di Israele’ era in fondo nei loro cuore, come si capisce dal racconto dell’Ascensione: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (1,6). Eppure, immersi in questa debolezza, incapaci di continuare l’opera del Maestro, erano rimasti insieme «assidui e concordi nella preghiera» (1,14), «nell’unione fraterna e nella frazione del pane» (2,42). La loro comunione tutta orizzontale e accogliente, capovolge la disumana situazione di Babele. Se allora gli uomini avevano volto le spalle a Dio, ora è proprio ad oriente che gli apostoli fissano ogni attesa e ogni preghiera. Non è una sterminata pianura il luogo della loro comunione, ma semplicemente una «casa» (2,2). Nessuno più cerca più di farsi un nome davanti agli altri, ma tutti vivono nella memoria di quel dolcissimo nome di Dio che il Maestro Gesù aveva fatto conoscere (cf Gv 17,26). Su questa comunità di poveri, irrompe improvvisamente la forza dell’amore di Dio: «Venne dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue» (At 2,2-4). Si realizzano finalmente le parole pronunciate da Gesù durante il suo addio: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Attraverso una presenza che è forte come il vento, incandescente come un fuoco e potente come un linguaggio, gli apostoli diventano uomini di annuncio e di comunione, al punto che tutti i «Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo» (At 2,5) quel giorno riuscirono ad ascoltare le «grandi opere di Dio» (2,11) dalle loro labbra. Fu un vero prodigio perché «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (2,6). Babele è finalmente rovesciata. Mentre la torre si era trasformata in un luogo di confusione e di solitudine, la casa ricolma della memoria e dell'amore di Dio diventa una sorgente di amicizia, comunione, evangelizzazione. L’unica lingua, figlia di paura ed egoismo, è sostituita da tante lingue, frutto dell’amore e dell’accoglienza. Poiché infiniti sono i linguaggi con cui sa comunicare chi vede Dio come Padre e l’altro come fratello. In questo miracolo di comunione si compie - sempre - la Pasqua di Cristo.



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