Martedì della II settimana - Tempo di Pasqua

Letture: At 4,32-37 / Sal 93 / Gv 3,7-15


NASCERE DALL’ALTO



È molto bello che, nei giorni del tempo pasquale, la liturgia ci faccia riascoltare - quasi come un lungo flashback - le catechesi di Gesù raccolte nel vangelo di Giovanni. Il compito dello Spirito Santo, che proprio in questi giorni invochiamo e attendiamo, non è nient’altro che questo: condurre i credenti nel Signore risorto ad accogliere e a vivere la sua parola « con grande forza » per dare limpida « testimonianza della risurrezione » (At 4,33).


Si comincia con l’intrigante dialogo notturno tra Gesù e Nicodèmo, nel quale emerge il « bisogno » (4,35) più autentico di ogni essere umano: « nascere dall’alto » (Gv 3,7). Il Maestro Gesù parla di questa seconda nascita attraverso un’immagine. Dice che, attraverso di essa, si diventa simili al « vento » il quale « soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va » (3,8). Poiché nascere dall’alto significa nascere « dallo Spirito » (3,8), quel vento che esce dal cuore stesso di Dio. Giustamente il cercatore Nicodèmo replica: « Come può accadere questo? » (3,9). Con parole dense, misteriose e belle, il Signore non risponde, ma apre un orizzonte di significato affermando che si tratta di « cose del cielo » (3,13) che hanno ha che fare con « la vita eterna » (3,14).


Per avere un’idea più concreta e accessibile, conviene volgere lo sguardo al racconto degli Atti, una splendida snapshot della primitiva comunità cristiana. L’autore degli Atti racconta che « la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune » (At 4,32). Il frutto di questa serena capacità di condividere senza smanie di possesso era davvero considerevole: « Nessuno infatti era tra loro bisognoso... veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno » (4,34.35).


Il frutto della vittoria pasquale di Cristo sulla morte è ben espresso da questa duplice capacità di offrire quello che si ha e di manifestare il bisogno di quello che non si ha ancora. Entrambi gli atteggiamenti nascono da una profonda esperienza di « risurrezione » dalle proprie idolatrie e dalle proprie angosce. Di questi atteggiamenti tuttavia, il secondo è il più sublime e impegnativo da raggiungere. Infatti per condividere ciò che si è ricevuto serve la generosità, mentre per domandare ciò di cui si avverte il bisogno è indispensabile quell’umiltà che nasce dal sentirsi amati. Lo aveva capito bene san Francesco, nella sua intensa esperienza di fraternità: ‘E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?’ (Regola Bollata, VI - FF 91).


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