Giovedì della III settimana - Tempo di Pasqua

Letture: At 8,26-40 / Sal 66 / Gv 6,44-51


AVERE DOMANDE



«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 65,44). Confesso che, ogni volta che ri-ascolto questa ipotetica del Maestro Gesù, tiro un sospiro di sollievo. L’eco di queste poche parole può essere sufficiente al nostro cuore per recuperare il giusto equilibrio nel mio cammino di fede: la salvezza non è conquista, ma dono. Talvolta ce ne dimentichiamo, tutti immersi nelle cose e nelle responsabilità che Dio ci ha affidato. Poi la vita diventa pesante, perché comincia ad essere quasi un nostro progetto, un edificio che costruiamo con le nostre forze. Invece no, la vita secondo il Vangelo è altra cosa. Si sviluppa per forza di attrazione, anziché per forza (o sforzo) di volontà. Infatti, quando siamo attiràti da qualcosa riusciamo molto più facilmente (e concretamente) a (s)muovere i nostri passi. Come quando qualcosa di bello, di buono ci passa dinnanzi e noi non possiamo resistere al suo fascino, alla sua forza di attrazione. Anche Dio - sembra ricordarci Gesù - è più qualcuno a cui tendere per attrazione che non qualcuno da servire per costrizione.


Tuttavia, un simile pensiero potrebbe facilmente legittimare una ridda di pensieri pericolosi, capaci di indurci a vivere con pigrizia e disimpegno la nostra tensione umana e religiosa. Sapientemente, il Signore aggiunge altre parole al suo insegnamento, dicendoci pure che per avere «la vita eterna» (6,47) occorre credere in lui come Parola di Dio diventata «pane vivo» (6,51), cioè nutrimento per il nostro esistere. Ora, per mangiare - solitamente - non servono particolari preamboli, ad eccezione di una cosa: avere fame. Come senza appetito non si è attratti dal cibo, così senza un profondo desiderio di vivere fino in fondo l’avventura della nostra umanità in questo mondo non ci si coinvolge con la missione di Cristo. Dunque la salvezza è assolutamente un regalo, che non possiamo né dobbiamo fabbricare con le nostre forze. Tuttavia spetta a noi esserne affamati, averne desiderio, riceverlo come un dono capace di trasformarci: «Se uno mangia i questo pane vivrà in eterno» (6,51).


Di questa fame esistenziale è splendido esempio «l’eunùco Etìope» (At 8,27) di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli. Pur essendo «amministratore di tutti» i «tesori» della «regina di Etiòpia» (8,27) è un uomo affamato, pieno di domande. Incontrando l’apostolo Filippo chiede aiuto per poter capire le Scritture: «E come potrei capire se nessuno mi guida?» (8,31), «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?» (8,34). Infine, affascinato dall’annuncio di Gesù, conclude con una domanda che è anche un grido di salvezza: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?» (8,36). Nulla, e infatti è ciò che accade. Quindi, «pieno di gioia, proseguiva la sua strada» (8,39).


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