Martedì della III settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Dn 3,25.34-43 / Sal 24 / Mt 18,21-35


I NOSTRI DEBITI



Il vangelo di oggi ci informa della nostra incapacità cronica a vivere nel perdono. La domanda del discepolo Pietro al maestro Gesù ci sembra ragionevolissima: « Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte? » (Mt 18,21). Come lui, noi tutti teniamo sempre una calcolatrice in mano nel difficile mestiere di voler bene agli altri. Il Signore risponde a Pietro con una parola e una parabola, entrambe chiarissime: « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette » (18,22). Poi racconta di un debitore a cui viene condonato un grosso debito, il quale non riesce ad avere la stessa misericordia nei confronti di un suo debitore, che gli deve una piccola somma. E conclude dicendo: « Così anche il padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello » (18,35).


Se interpretassimo questo brano come un forte invito a schiacciare un po' di più l'acceleratore dell'amore, già avremmo di che meditare per il resto della quaresima. Tuttavia questa lettura corre il rischio di essere una vampata di fuoco, che muove la leva del senso di colpa e, di conseguenza, poco (o niente) riesce a convertire le profondità del nostro cuore. Meglio rintracciare un senso più profondo, tutto già manifesto nella presentazione dei due diversi debitori. Spesso, a causa di una certa distanza culturale dalle unità di misura menzionate nei vangeli, non si fa caso ad un dettaglio tutt'altro che irrilevante. Il primo debitore ha maturato un vincolo pari a dieci talenti, che equivalgono a trecento tonnellate d'oro, mentre il secondo deve appena mezzo chilogrammo d’argento (cento denari) al suo debitore.


Il Signore Gesù, facendo vedere con quale malvagità il primo debitore perdonato si comporti nei confronti di colui verso il quale è creditore di una piccola somma, vuole dirci che in noi esiste un problema grave. Siamo tutti ignari di quanto la nostra vita abbia un profondo debito, che mai siamo capaci di ripagare fino in fondo. Ci sentiamo, al contrario, giusti e in credito verso tante persone. Proprio per questo motivo ci arrabbiamo, non accettiamo l'altro e appena possiamo gli tiriamo il collo. A causa di questo ingannato sguardo su noi stessi, spesso le nostre giornate diventano un faticoso e ripetitivo tentativo di rispondere alle pretese che tutti hanno nei nostri confronti, di fronte a cui esclamiamo: «Fino a quando?». Fino a quando dovrò perdonare, accettare, sopportare questa situazione, questa assenza, questo fallimento, questo dolore? Così, mentre Dio continuamente ci dà vita con la sua «pazienza» (Mt 18,26.29) senza confini, donandoci e perdonandoci ogni cosa, noi con abilità ragionieristica siamo intransigenti con il nostro prossimo, verso cui non sospendiamo mai il giudizio e le pretese: «Paga quel che devi!» (Mt 18,28). Se solo iniziassimo a vivere ogni nostro giorno avvertendo tutta la sostenibile pesantezza dei nostri limiti, sentendoci debitori e non creditori, potremmo invece vivere l'esperienza di Anania nella fornace (cf. I lettura). Potremmo imparare a lodare Dio in mezzo al fuoco dei nostri problemi e ad offrire ai fratelli « tutto il cuore » (Dn 3,41). Senza più contare. Gratuitamente.


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