V Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Letture: Is 6,1-2.3-8 / Sal 137 / 1Cor 15,1-11 / Lc 5,1-11


PROPRIO A NOI



Nelle ultime due domeniche le Scritture ci hanno segnalato una buffa anomalia. Dio ha cose belle da dirci, ma trova seri ostacoli a mettersi in comunicazione con noi. Sappiamo già troppo, non ci va di cambiare. Diventiamo persino aggressivi quando ci si vuole annunciare qualche grossa novità! Il Vangelo di questa domenica si fa per noi sconcertante. Sembra che tutti questi filtri che definiscono la nostra in-capacità relazionale, non siano affatto un problema per Dio. Non solo, pare che questo mediocre materiale umano che noi siamo, sia indispensabile alla costruzione del regno di Dio.


Notti vuote

«Simone» (Lc 5,4) e i suoi «soci» in affari di pesca - «Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo» (5,10) - non hanno avuto una notte fruttuosa. Hanno «faticato tutta la notte» e non hanno preso «nulla» (5,5), nemmeno un carpa o un cavedano con cui fare colazione. Ora lavano le retti, approfittando dei getti di acqua che si tuffano rigogliosi nel «lago di Gennèsaret» (5,1) dalla sponda occidentale. Sono stanchi, delusi, forse arrabbiati. E arriva Gesù, il nuovo Rabbì che cerca di diffondere speranza a suon di parole. «La folla» scrive Luca «gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (5,1). Inaspettatamente, al Maestro serve un luogo da cui poter predicare con più calma ed efficacia. Gesù sale in una «barca, che era di Simone e lo pregò di scostarsi un poco da terra» (5,3). Le solite prediche, avrà pensato l'amareggiato pescatore. Però gli accorda l'uso dell'imbarcazione, e il Maestro «sedette e insegnava alla folla dalla barca» (5,3). Simone e gli altri, intanto, ascoltavano in silenzio. Non sappiamo che cosa hanno pensato in quei momenti, scottati da una brutta notte di pesca e nel contempo raggiunti dalla speranza del Vangelo di Cristo. Ma la scena ci basta a ricordare che, molto spesso, la voce di Dio ci raggiunge proprio a serbatoio vuoto. Quando siamo sfiniti e vuoti, incavolati e soli. Alla fine delle nostri peggiori notti, insomma. Quando fantasmi e incubi hanno saccheggiato tutta la dispensa dei nostri sorrisi.


Mai dire mai

Poi Dio non è che si mette semplicemente accanto a noi. Ci suggerisce di sollevare lo sguardo e di prendere di nuovo «il largo» per gettare ancora - ancora una volta - le nostre «reti per la pesca» (5,4). Simone, io credo, non vorrebbe. Il mestiere del pescatore lo conosce meglio lui del falegname di Nazaret, ora diventato ricercato conferenziere dell'Altissimo. Vorrebbe declinare garbatamente l'invito, ma forse la folla, forse il tepore del mattino, forse una scintilla di fiducia in fondo al cuore... «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» (5,5). Luca, da buon medico, pone sulle labbra di Simone questa elegante risposta, che ci rivela l'animo sincero e disponibile del principe degli apostoli. Succede poi l'impossibile. Simone e i suoi soci «fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (5,6). Succede davvero questo impossibile, ogni volta che ci affidiamo alla voce di Dio. Mentre noi singhiozziamo perché ci sembra di essere arrivati ad un triste epilogo, la fantasia di Dio è già all'opera per offrirci nuove piste di salvezza. Dio è creatore, in ogni istante. L'ottimismo del suo amore genera continuamente novità e rende nuove le cose che già esistono. Non dobbiamo mai dire che è finita, finché la vita ci scorre tra le mani. Certo, dobbiamo imparare a compiere scelte fondate «sulla Parola», accettando serenamente la dipendenza non infantile nei confronti di un Dio che ci guida sui sentieri della vita.


Falsi problemi

A questo punto Simone si mette a fare ciò che tutti facciamo quando sperimentiamo - per l'ennesima volta - che Dio esiste davvero e che ci vuol bene. Ci sentiamo profondamente indegni e incapaci di corrispondergli. Tutte le letture ci confermano questo profondo disagio. Pietro: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore» (5,8). Paolo: «(Cristo) apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,8-9). Isaia: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti» (Is 6,5). Per il Signore questi sensi di inadeguatezza che avvertiamo dentro di noi non sono un impedimento. Gesù risponde a Pietro: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10). Isaia, dopo aver ricevuto la purificazione delle labbra esclama: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Paolo confessa: «Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me» (1Cor 15,10). La più grande fatica che Dio deve compiere è convincerci che a lui andiamo bene così come siamo adesso. Non perfetti, puliti e equilibrati come noi vorremmo. «Alle nostre labbra impure e alle nostra fragili mani» il Signore affida «il compito di portare agli uomini l'annunzio del Vangelo» (cf Colletta). Noi, peccatori conosciuti e accolti da un Dio che vuole aver bisogno della nostra barca. I più idonei a raccontare la gratuità del suo amore.


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