Mercoledì - IV settimana del Tempo Ordinario

Letture: 2Sam 24,2.9-17 / Sal 31 / Mc 6,1-6


FARE I CONTI



Il vangelo di Marco oggi ripresenta, in forma più concisa, il dramma 'in due atti' che il vangelo di Luca, nelle ultime due domeniche, ha posto davanti alla nostra attenzione. Il Signore Gesù viene «nella sua patria» (Mc 6,1) insieme ai suoi discepoli, e di sabato si mette a «insegnare nella sinagoga», annunciando - presumibilmente - il vangelo del regno di Dio. Ma, proprio qui «tra i suoi parenti e in casa sua» (6,4) viene «disprezzato» e riceve la peggiore delle accoglienze. I cittadini di Nazaret non riescono ad essere aperti di fronte alla novità che il Signore Gesù intende offrire loro. Anzi, il giovane «falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone» è addirittura per loro «motivo di scandalo» (6,3). Questa sorda «incredulità» (6,6) provoca «meraviglia» nel cuore del Maestro, il quale «non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (6,5).


La prima lettura ci offre una chiave di comprensione per questo mistero di inospitalità, che purtroppo descrive lucidamente una certa impermeabilità con cui, anche noi, molto spesso neutralizziamo la logica scomoda del Vangelo. Nel peccato di Davide che, una volta diventato re, si mette a conteggiare i suoi uomini e i suoi possessi, dobbiamo riconoscere una certa attitudine a porci davanti alla realtà con uno sguardo puramente quantitativo. Davide fa il conto degli uomini a disposizione, nel tentativo di mettersi in tasca il mistero della realtà premunendosi da eventuali sorprese che il domani possa riservare. È un tipico atteggiamento di controllo che nasce dalla paura che, qualcosa di ignoto e di improvviso, possa sorgere a modificare il nostro apparente equilibrio raggiunto. È lo stesso tipo di chiusura che ha impedito ai concittadini di Gesù di ascoltare la novità del suo insegnamento.


Il re Davide, dopo aver ordinato il censimento, sente i rimorsi del cuore, si mette una mano sulla bocca e si ravvede: «Ho peccato molto per quanto ho fatto, ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza» (2Sam 24,10). Dovrà passare attraverso una pena che trasformerà il suo cuore in quello di un pastore buono, che non guarda più gli altri come pedine del proprio scacchiere, ma come pecore da guidare con amore: «Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore, che hanno fatto?» (24,17). Anche a noi è sempre accordata l'opportunità di abbandonare le strategie difensive con cui tentiamo - inutilmente - di schermarci dai rischi e dalle sorprese seminate con saggezza da Dio nei nostri sentieri. Sempre possiamo smettere di fare i conti per aprirci alla grazia della volontà di Dio.


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