III/IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


LA GIOIA/FATICA DELL'ASCOLTO



In queste due domeniche, la liturgia ci propone di contemplare la grazia e la responsabilità di avere un Dio che rivolge a noi la sua parola. Avendoci creati a sua immagine e somiglianza, il Signore ha voluto mettersi in dialogo con noi, manifestandoci il suo pensiero e la sua volontà, che hanno raggiunto piena manifestazione in Gesù di Nazaret, la Parola di Dio diventata uomo. Si tratta di uno splendido dono, che tuttavia mette in luce tutta la nostra resistenza a vivere con un cuore capace di ascolto. Questo mistero di ribellione alla voce di Dio ha accompagnato, sin dai suoi inizi, la predicazione pubblica del Signore Gesù.


La forza della Parola

Il Maestro Gesù, dopo aver espresso la sua solidarietà con la miseria umana immergendosi nelle acque del Giordano, inizia a raccontare pubblicamente il Vangelo di Dio. L'evangelista Luca pone l'inizio della sua attività nel contesto di una liturgia sabbatica, nella sinagoga di Nàzaret, dove Gesù «era cresciuto» (Lc 4,16). Dopo aver ricevuto «il rotolo del profeta Isaia», in cui si annuncia «ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista» (4,18), il Signore trova il coraggio di dire ai suoi concittadini - «mentre gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (4,20): «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (4,21). Il giovane falegname di Nazaret si presenta improvvisamente con straordinaria autorevolezza, portando ad inatteso compimento quanto già accadeva ogni sabato in Sinagoga, sin dai tempi del ritorno dall'esilio, quando «i lèviti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura» (Ne 8,8), quando Dio - attraverso i suoi ministri - rassicurava il popolo: «Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (8,10). Ma l'annuncio del Signore Gesù contiene una straordinaria pretesa, perché sancisce l'arrivo della fine dei tempi, l'inizio di un «oggi» nel quale tutte le promesse di Dio si realizzano. Il Maestro si rivolge ad un'assemblea di uomini e donne per dire loro: ai «poveri», ai «prigionieri», ai «ciechi» Dio sta per fare un meraviglioso regalo: la «libertà»! Da quel giorno, fino ad oggi, questa è la grazia della Parola di Dio, accolta dalla Chiesa dalle mani degli Apostoli, e trasmessa ai discepoli di ogni generazione. Una grazia che si manifesta in maniera unica quando i cristiani si riuniscono per ascoltare la voce del loro Signore. Una grazia che vuole anzitutto disintossicare il nostro cuore che, continuamente, si riempie di parole vuote e menzognere, che paralizzano la nostra capacità di amare e di donarci. Dentro di noi infatti entrano e trovano parcheggio tante parole, ogni giorno. Non hanno tutte la stessa provenienza. Alcune sono buone, secondo la verità. Altre cattive, perché nascono dalla menzogna. E ci fanno male, e ci portano a fare il male. Una menzogna ad esempio largamente diffusa nei nostri cuori è la parola che ci giudica come 'porzione' non rilevante di quel grande corpo che è i'umanità amata da Dio. San Paolo, ha trovato parole importanti per reagire a questa bugia che riesce a strapparci l'armonia del cuore: «Voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (1Cor 12,27). È un discorso bello, che ascoltiamo facilmente quando riusciamo a guardarci allo specchio con ottimismo, ma non quando ci sentiamo giù. Per questo l'apostolo aggiunge che la nostra appartenenza al corpo di Cristo non dipende dai nostri meriti, infatti «proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie» (12,22). Ma parole di Dio preziose come queste si smarriscono facilmente nel fiume di banalità che forma il chiacchiericcio quotidiano del nostro mondo. Ecco perché, come ha fatto l'evangelista Luca, anche noi doppiamo fare ricerche accurate su ciò che crediamo, su ciò che diciamo, sulle parole che decidiamo di accogliere nell'organo sensibile del nostro cuore. C'è una Parola meravigliosa che vuole intercettare il povero, il cieco, il prigioniero che è in noi per donarci una gioia diversa da ogni altra gioia che i nostri sforzi, il caso, la nostra progettazione possono procurarci. È la gioia di un amore che ci viene incontro, la voce di un Padre che ci annuncia il suo bene per noi. È la gioia dell'ascolto.


La debolezza del cuore

Ma questa Parola deve continuamente fare i conti con la nostra difficoltà a crescere e a cambiare, come accadde agli abitanti di Nazaret quel giorno in cui Gesù annunciò loro il Vangelo. «All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù» (Lc 4,28-29). Il Signore Gesù non le aveva certo mandate a dire ai suoi concittadini! Accorgendosi della loro diffidenza, aveva citato due episodi della Bibbia nei quali si racconta di come gli stranieri, talvolta, siano più disponibili ad accogliere la «grazia del Signore» (4,19) rispetto a coloro che credono di essere molto prossimi a Dio, in virtù di una elezione o di un altro merito. Perché «nessuno profeta è bene accetto nella sua patria» (4,24)! L'esito disastroso di questa prima omelia di Gesù è l'avvertimento con cui anche noi, suoi discepoli, ci rimettiamo in cammino e in ascolto in questo nuovo anno liturgico, scandito dal vangelo di Luca. La memoria di questa sgarbata reazione da parte dei cittadini di Nazaret ci vuole mettere in guardia rispetto al rischio di ritenerci ormai arrivati da qualche parte, anziché viandanti in questo mondo. Una tentazione assai facile per il nostro cuore, che fa fatica a rimettersi ogni giorno con umiltà di fronte al problema di vivere. Proprio per questa nostra mediocrità spesso viviamo provvidenziali momenti di aridità, tempi nei quali il Signore ci fa la grazia di poter tornare un po' alieni e stranieri a noi stessi. Esistono infatti grazie e doni di Dio, cose bellissime preparate quotidianamente per noi che non siamo più capaci di riconoscere. Allora incominciamo a vedere tutto nel modo sbagliato: Dio, noi stessi, gli altri. Solo l'ascolto ci può salvare da questa tristezza per ricollocarci dentro la via della carità (cf 1Cor 13). Solo attraverso un ascolto che diventa anche fatica, possiamo accedere alla gioia del Vangelo, voce di Dio che grida dentro la nostra povertà: «Io sono con te per salvarti» (Ger 1,19).


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