Natale del Signore

Letture: Is 9,1-6 / Sal 95 / Tt 2,11-14 / Lc 2,1-14


NON È UNA FAVOLA



Non ce ne siamo accorti subito. Soltanto dopo la sua Pasqua i primi discepoli hanno fatto indagini, accumulando notizie e prove. E abbiamo scoperto che era davvero successo quello che nemmeno i profeti osavano immaginare: Dio è entrato nella storia con tutto se stesso, è diventato uomo, si è fatto uno di noi. La festa del Natale «non è una fiaba per bambini» - come il Papa ha voluto ricordare in questi ultimi giorni - ma «la riposta di Dio al dramma dell'umanità in cerca della vera pace» (Angelus, 20 dicembre 2009). Un gesto d'amore folle, inconcepibile, bellissimo, deposto silenziosamente nella fragile terra della storia umana


Poteri

Per andare a Betlemme, partendo da Gerusalemme, bisogna prendere Hebron Road. Si può camminare per circa un'ora se il tempo è bello, altrimenti ci sono i bus. Il viaggio non è diretto, ci si ferma al 'muro di sicurezza' costruito da Israele nel 2002, formalmente per difendere i suoi territori dalle minacce dei terroristi palestinesi, praticamente per espandere il proprio potere sui territori abitati dai rifugiati arabi. Al checkpoint la polizia israeliana controlla passaporti e zaini. Procedura agile per i turisti e i pellegrini, supplizio quotidiano per gli arabi che devono attraversare il muro per motivi di lavoro oppure religiosi. Nei loro confronti il controllo è severo e, spesso, aggressivo. Come è successo ad Elias, giovane abitante di Betlemme, che qualche giorno prima di Natale ha passato la giornata in prigione anziché al suo lavoro a Gerusalemme, accusato ingiustamente di introdursi in Israele con un documento falso. La storia umana, ieri come oggi, continua ad essere influenzata dai potenti che dividono e amministrano, che impongono ai piccoli spostamenti e soste, accordano e negano fondamentali diritti. Allo stesso modo, iniziò il primo Natale della storia. «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città» (Lc 2,1-3).


Intrusi

Passato il posto di controllo, camminando lungo la strada che conduce a Betlemme, si raggiunge il Caritas Baby Hospital, un centro di assistenza sanitaria per bambini. È l'unico ospedale pediatrico in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, l'unico luogo capace di accogliere i bambini malati ed offrire a loro e alle famiglie cure mediche e conforto umano. Non arrivano soldi da Israele (che ha già i suoi ospedali), né dallo stato palestinese (che nemmeno esiste); l'economia dell'ospedale è affidata alla provvidenza, soprattutto quella di alcune comunità cristiane svizzere e tedesche che inviano cospicue donazioni, specialmente nel periodo di Natale. Insieme ai medici e alle infermiere palestinesi, un piccolo gruppo di suore italiane anima la vita del centro sanitario. Hanno maturato competenze infermieristiche, hanno mescolato i loro accenti italiani con i suoi aspri della lingua araba. Sorridono alle mamme disperate per i loro piccoli, passano il tempo insieme ai bambini, avvolgono di affetto quelli più soli e abbandonati. Accolgono con amore tutta questa vita piccola e fragile, all'ombra del muro della divisione, a pochi passi da Betlemme, la città dove Dio si fece minuscolo e povero. Ieri come oggi, il Natale di Dio nell'umanità continua là dove esistono uomini e donne che si mettono a servizio della vita, soprattutto di quella più debole e indifesa. «Mentre (Giuseppe e Maria) si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio» (2,6-7).


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Betlemme è una città modesta, lontana dagli splendori della vicina Gerusalemme. Eppure è gonfia di vita, capace di accogliere e festeggiare con grande dignità. La piazza antistante la basilica della Natività, in occasione delle celebrazioni natalizie, è tutta parata a festa. Canti e danze intrattengono turisti e pellegrini; dolci e prelibatezze di ogni tipo si vendono e si consumano in allegria. A mezzanotte, però, la piazza tace e il Natale è celebrato nella fede. Nella chiesa di santa Caterina, costruita accanto alla basilica ortodossa della Natività, i frati francescani animano la liturgia cattolica presieduta dal patriarca. Viene svelata una statua del bambino Gesù, i canti e le preghiere illuminano i cuori dell'assemblea. Per tutti i fedeli è l'annuncio che fu inizialmente solo per i pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (2,10-12). Il Natale si rinnova così, attraverso i segni della fede che culminano nel mistero dell'eucaristia, dove la presenza del Dio fatto uomo si rende accessibile ad ogni generazione. Ma qui non finisce. A noi resta la parte più bella e avventurosa, la chiamata a portare la logica e la realtà del Natale dentro i nostri percorsi umani. Se vogliamo restituire a noi e al mondo la verità del Natale di Cristo, dobbiamo avere il coraggio di attraversare i checkpoints dietro cui ci siamo rifugiati nelle nostre sicurezze, costruire oasi di accoglienza e di solidarietà, gettare ponti di amicizia, abbattere i muri dell'indifferenza, fabbricare quel pezzo del regno di Dio che è affidato alla nostra libertà. Perché la vita umana è davvero un dramma che attende risposta. Dio ha cominciato a farlo, non «a parole, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18). Ora tocca a noi, se vogliamo che il Natale che celebriamo nella fede non appaia al mondo come una fiaba per bambini, ma una risposta vera, che a Dio dà «gloria» e a noi regala tanta «pace». Quella pace che, secondo il sogno di Dio, «non avrà fine» (Is 9,6) perché «porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).


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