II Domenica di Avvento – Anno C

Letture: Bar 5,1-9 / Sal 125 / Fil 1,4-6.8-11 / Lc 3,1-16


SEMPLICI



Il cammino di Avvento si è aperto con un preciso invito a ritrovare leggerezza, dentro il tumulto di una vita spesso ingolfata e pesante. Quasi sulla stessa lunghezza d'onda, la Parola di Dio in questa domenica solleva un grido nel deserto dei nostri percorsi, affinché desideriamo ritrovare anche semplicità, pericolosa, grande assenza nei ripostigli della nostra agitata interiorità.


Annunci

Confesso di fare un po' di fatica ad ascoltare gli annunci di Baruc. Ascoltare le sue profezie di pace qui a Gerusalemme, dove ora mi trovo, è quanto meno un problema di onestà intellettuale: «Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: “Pace di Giustizia” e “Gloria di pietà” (Bar 5,1-4). Questa parole a più di duemila anni di distanza sono tutt'altro che realizzate. Non c'è pace per Gerusalemme, non ancora. Non c'è giustizia per i suoi abitanti, proprio no. Come dunque accogliere queste parole come vere e profetiche? Tanto per cominciare, vale la pena di ricordare che «c'è sempre un margine di smentita nelle profezie, non sono sentenze inesorabili, non tutte si realizzano» (E. De Luca). Il Dio di Israele e di Gesù Cristo non entra mai a gamba tesa nella storia, non grida né alza il tono della voce (cf Is 42,2). La sua profezia non assume lo spessore della minaccia o della sentenza inappellabile. È il racconto del suo desiderio che chiede asilo dentro di noi, nei luoghi della nostra libertà. Perché così egli ci ha creato, simili a lui, suoi amici e confidenti. Forse il problema davanti alle parole di Dio, non è la loro parziale realizzazione, ma il nostro cattivo ascolto. Scrive Luca che «nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaìa, nel deserto» (Lc 3,1-2). Davvero sorprendente! Il pensiero di Dio, volendo scendere tra gli uomini, non atterra su nessuno dei potenti, coloro che nel passato e nel presente si credono i registi della vicenda umana. Atterra invece su un uomo che sta nel deserto, e grida che le cose non vanno bene, che occorre far entrare Dio nei nostri poveri percorsi, perché mancano di giustizia e di verità. Il problema delle profezie, forse, è solo geografico. Finché le ascoltiamo sulla poltrona del nostro disimpegno possiamo provare solo imbarazzo o indifferenza. Se siamo in contatto coi margini della nostra vita, forse riescono ad accendere una scintilla di desiderio, attivando dentro di noi il sogno di Dio.


Ritorno

Giovanni non dice nulla di nuovo, ripete, con la sua voce, la parola con cui Isaia annunciava al popolo in esilio la possibilità di fare ritorno alla terra promessa: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (3,4). Attendere il Signore significa desiderare che egli venga. E quindi preparagli la strada, come si fa quando a casa arriva un ospite e tutto, in breve tempo, cambia forma a causa del suo arrivo. Attendere la venuta del Signore significa essere disposti a mettersi in discussione, poco o tanto se serve. Soprattutto significa, accettare di non poter attendere altrove, se non nel mezzo di un deserto. Non un deserto immaginario o lontano, ma semplicemente quello in cui vi troviamo. Dove mancano ancora e sempre le cose più importanti, quelle per cui vale la pena vivere. Dove i nostri progetti non si sono ancora realizzati, oppure più volte distrutti, magari irreparabilmente. Là dove, se vogliamo accettarlo, siamo nudi e veri, poveri e miseri. Però vivi, capaci di desiderio e di sincerità.


Semplicità

Nella misura in cui accettiamo di trovarci proprio qui, l'Avvento continua. Forse, finalmente, inizia. Perché il suono di una voce che attendiamo si fa nitido e fa breccia nel nostro cuore: «Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato» (3,5). Qualcuno in questo Avvento avrà bisogno di ridimensionarsi, di scendere da inutili piedistalli che mai danno consistenza alla vita. Qualcun altro dovrà ammettere che ci può essere speranza, anche nel fondo di una tristezza, di un'annosa disperazione. Tutti abbiamo bisogno di uscire dai tortuosi giri della testa e del cuore che accartocciano la nostra vita come una cosa di poco conto. C'è una voce che nel deserto ci annuncia la possibilità di tornare ad una vita piena, dove i rapporti si vivono a partire dal perdono e dalla solidarietà, dalla gioia e dalla comunione. Per ascoltare questa voce dobbiamo smettere di credere al nostro cuore quando si scoraggia, di dargli retta quando si esalta inutilmente, di abbandonare quelle strade difficili e complicate che non ci portano mai da nessuna parte. Sarà Dio a condurci dove noi non sappiamo che esiste una vita più grande. A noi è chiesto solo di attendere che la sua «salvezza» (3,6) possa essere un dono. Da desiderare e da accogliere, con cuore leggero e semplice.


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