XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Letture: Dn 12,1-3 / Sal 15 / Eb 10,11-14.18 / Mc 13,24-32


PER SEMPRE



In questa domenica la liturgia della Parola ci pone a confronto con due parole che, nel nostro tempo, destano più sospetto che desiderio: «per sempre» (Dn 12,3; Eb 10,12.14). Circondati da scetticismo e pessimismo, spesso scottati da qualche esperienza negativa, esitiamo a costruire la vita in relazione ad un orizzonte definitivo. Preferiamo vivere alla giornata, senza troppi progetti, senza inutili formalismi. Tutto ciò nasce dal contatto con una realtà sempre più fluida, avvertita come instabile e indefinibile. Dall'immersione in una cultura frammentata, che non offre più una visione d'insieme delle cose. Ma c'è anche altro, che dipende solo in parte dai tempi che viviamo.


Routine

C'è che la vita, volenti o nolenti, è un «sacrificio» (Eb 10,12). Cioè tende inevitabilmente a diventare una cosa grossa, un affare di gigantesche dimensioni, una cosa sacra, appunto. E gli architetti di questa impresa siamo noi, con la nostra libertà che valuta, decide e sceglie. In questa avventura, onerosa e splendida, tutti facciamo esperienza dei «peccati», piccoli e grandi momenti quotidiani nei quali la nostra vita non va a segno, fallisce il bersaglio. Di fronte a questa noiosa evidenza, proviamo a spremere le nostre migliori energie, ad attivare le nostre forze più nobili. Eppure, sembriamo come i criceti sulla ruota. Intrappolati in un moto rotatorio, prigionieri di un tentativo che non fa mai cambiare le cose fino in fondo. L'autore della lettera agli Ebrei così commenta il culto che si praticava in Israele fino alla venuta di Cristo: «Ogni sacerdote si presenta ogni giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati» (10,11). Questa era la spiritualità che il Signore è venuto a perfezionare: ogni giorno le stesse cose (riti, incensi, sacrifici), senza mai raggiungere la meta. Ogni giorno... mai: non è pure la descrizione precisa della nostra spiritualità (post)moderna? Mille sacrifici, sempre in movimento e in tensione e, tutto sommato, mai sazi e contenti davvero.


Crisi

Cosa manca alla nostra spiritualità? Le Scritture oggi sono unanimi nell'indicare una risposta: un contatto sano con i tempi di «angoscia» (Dn 12,1) e di «tribolazione» (Mc 13,24) che la vita a tutti presenta. Sia il profeta Daniele che il Signore Gesù affrontano il delicato argomento della fine del mondo annunciandone tutta la drammaticità. Sarà un tempo di profonda inquietudine «come non c'era stata mai» (Dn 12,1), nel quale ogni riferimento verrà a mancare: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc 13,24-25). Oggi noi sappiamo che queste parole sono vere anzitutto nel loro più immediato significato. Il mondo, ci assicura la scienza, ha avuto un origine e un giorno finirà. Non viviamo, come si credeva, in uno scenario immutabile di cui noi siamo il centro. «Le stelle» non brillano «per sempre» (Dn 12,3), l'universo è in continua evoluzione e noi, minuscola e irrilevante periferia, siamo in evoluzione con esso. Ma queste parole che annunciano l'arrivo di una grande crisi sono anche parole profetiche, che gettano luce sul mistero della nostra vita. Ciascuno di noi, infatti, conosce - presto o tardi - la fine della sua vita in questo mondo. Si tratta di un avvenimento che non coincide semplicemente con la morte, ma con tutti quei momenti nei quali i punti di riferimento che avevamo assunto saltano improvvisamente, come i bottoni di una camicia.


Il fico

«Queste cose» devono «accadere» (Mc 13,29). La nostra vita ha bisogno di affrontare crisi profonde per entrare nello scenario delle cose definitive. Ma, proprio «in quel tempo sarà salvato» il nostro cuore, come assicura il profeta: «molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno» e «coloro che avranno indotti molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre» (Dn 12,3). Proprio quanto tutto sembra finire, si crea l'opportunità di un nuovo incontro con Dio: «allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13,26). Il Maestro aggiunge anche una parabola, quella del fico: «Quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte» (13,29). Possiamo davvero imparare dalle piante e dalla natura che (se) ancora ci circonda a leggere la nostra vita come un progetto in divenire che conosce molte stagioni. Esistono l'autunno e l'inverno, quando tutto viene introdotto in una specie di morte apparente: terminano i frutti, scompaiono le foglie, la vita sembra venire meno. Poi però giungono la primavera e l'estate, quando i rami ricominciano a germogliare e a portare frutto. Così è la nostra vita. Ci sono tempi di severa austerità, nei quali ci è tolta la dolcezza dell'estate e i profumi di passate primavere. Non è la fine. È un tempo di purificazione e di attesa, che ci allena a ricevere ancora una volta la vita come un dono. Che ci prepara ad accogliere una vita che, nel sogno di Dio, è «per sempre».


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