Sabato - XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sap 118,14-16; 19,6-9 / Sal 104 / Lc 18,1-8


CONTINUAMENTE



Se vogliamo imparare a donarci come la vedova (domenica), dobbiamo aver fede in Dio (lunedì), consapevoli di essere servi non necessari (martedì), capaci di tornare indietro e dire grazie (mercoledì), perché il regno di Dio è in mezzo a noi (giovedì), quindi occorre essere sempre pronti ad accogliere la sua improvvisa venuta (venerdì). A conclusione di questo itinerario pieno di senso che le Scritture ci hanno fatto compiere in questa settimana, riceviamo oggi l'invito a pregare. Dice il Signore «ai suoi discepoli» che bisogna «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). E, secondo il suo stile e il suo gusto, accompagna le parole con una parabola che ne arricchisce l'intensità. Racconta di «una vedova» che «continuamente» importuna un «giudice» cattivo, «che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno» (18,2), a causa di una questione giuridica contro «un avversario» (18,3). Per un po' il giudice non le diede retta, poi alla fine decide di aiutarla perché questa vedova gli dava «tanto fastidio» (18,5). Il senso è abbastanza chiaro: l'insistenza ottiene qualcosa anche dalle persone ingiuste ed empio. A questo punto il Maestro applica la parabola a noi e a Dio, con una domanda retorica: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (18,7).


Chapeau! Come sempre il Signore Gesù riesce a colpirci senza ferirci, andando alla radici del nostro cuore. Quanto manca alla nostra preghiera è proprio la fedeltà insistente. Nella vita spirituale, come in altri ambiti quotidiani, è la perseveranza il maggiore difetto da riconoscere e da superare. Perché dopo le emozioni e i facili entusiasmi, ogni attività ripetuta entra in «un profondo silenzio» e in una «notte» (Sap 18,14). A noi sembra che «tutte la cose» che abbiamo cercato di costruire siano avvolte da un sicuro fallimento, che invano abbiamo provato a parlare a Dio, manifestandogli il grido della nostra povertà. Ma il Sapiente ci rivela che, in realtà, questa profonda oscurità è l'istante che precede una nuova presenza di Dio, come accadde ai figli di Israele quando «il Mar Rosso divenne una strada senza ostacoli e flutti violenti una pianura piena d'erba» (18,7).


La preghiera è anzitutto un dono che riceviamo, non una fatica assurda da compiere. Se proviamo ad inserirla regolarmente, tra i diversi impegni quotidiani, scopriamo che la preghiera è un tempo che consente al nostro cuore di essere «modellato di nuovo» (18,6) e ai nostri giorni di essere «preservati sani e salvi» tra i flutti della vita. La preghiera non cambia anzitutto le cose, non forza Dio a fare qualcosa di bello a cui egli non stia già pensando. Cambia anzitutto noi, il nostro modo di vedere le cose. Ci libera dalla paura e ci dona la forza di inseguire i nostri sogni più autentici. Per questo comincia a diventare vera quando cominciamo a farla con insistenza e con «fede» (Lc 18,8), «continuamente» (18,5).


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