Mercoledì - XXXIV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Dn 5,1-6.13-14.16-17.23-28 / Dn 3 / Lc 21,12-19


MANI



Leggendo con attenzione le Scritture della liturgia di oggi, notiamo una certa ricorrenza delle mani, all'interno delle vivaci e intense narrazioni che ci accompagnano alle soglie dell'Avvento. Le mani rappresentano una parte davvero straordinaria del nostro corpo. Grazie ad esse modelliamo la realtà, lavoriamo, indichiamo, accogliamo o respingiamo; un dettaglio 'divino' della nostra già meravigliosa corporeità.

Sono proprio le mani, più precisamente «le dita di una mano d'uomo» (Dn 5,5), a comparire improvvisamente nel banchetto del «re Baldassàr» (5,1) che, tronfiamente, sta bevendo vino con «le sue mogli e le sue concubine» con «i vasi d'oro e d'argento che suo Nabucodònosor, suo padre, aveva asportato dal tempio di Gerusalemme» (5,2). Queste misteriose mani si mettono a scrivere «sulla parete del palazzo reale, di fronte al candelabro» e «il re vide il palmo di quella mano che scriveva» (5,5). Al re, gli si gela il sangue, subito «cambiò colore: spaventosi pensieri lo assalirono, le giunture dei suoi fianchi si allentarono, i suoi ginocchi battevano l'uno contro l'altro» (5,6). Il potente re Baldassàr non ha ancora compreso il messaggio scritto, ma viene colto da un angoscioso presentimento, sente di essere alla resa dei conti, ha la sensazione che tutto il suo presunto potere stia per venire meno. Le mani di Dio, che impercettibilmente scrivono e giudicano la storia umana, talvolta sortiscono questo effetto: danno pane al pane e vino al vino, mettendo nero su bianco l'esito delle nostre scelte, le conseguenze delle nostre azioni. Molte volte viviamo pensando di poter sperimentare all'infinito le occasioni della vita, trascurando di valutare quanto bene e quanto male ci sia in ciò che stiamo facendo. Giunge, per fortuna, il momento in cui le mani di Dio mettono davanti ai nostri occhi i contorni del destino verso cui stiamo camminando. Ci regalano una profezia.


Il re tremante chiede al profeta Daniele, deportato in Babilonia, di interpretare l'oscuro messaggio sul muro, offrendogli un po' del suo prestigio: «Tu sarai vestito di porpora, porterai al collo una collana d'oro e sarai terzo nel governo del regno» (5,16). Daniele accetta la commissione ma rifiuta i «doni» (5,17) e le lusinghe del re. Comportandosi da vero profeta, «scuote le mani per non accettare regali» (Is 33,15) e poi dichiara al potente signore di Babilonia: tu sei un idolatra e «il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani» (Dn 5,28). Le mani di Daniele sono libere e agili, non accolgono i doni insanguinati e iniqui di un re che si gode la vita attraverso la violenza e il sopruso. Daniele si ricorda che esiste un solo re, «Dio, nelle cui mani è la vita» (5,23) di ciascuno. Questa stessa fiducia anima le parole che il Maestro Gesù rivolge ai discepoli: «Metteranno le mani su di voi... Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Lc 21,12.18). Le mani sono il timone della nostra vita. Dobbiamo usarle con «sapienza» (21,15), imparando a rifiutare con esse i regali che possono corrompere il nostro cuore, creando l'illusione che la nostra vita non sia nelle mani di Dio. Dobbiamo accoglierle invece senza paura, quando la loro violenza su di noi ci informa che, a causa del «nome» (21,17) di Gesù è giunta per noi «l'occasione di dare testimonianza» (21,13) al vangelo.


Commenti