Martedì - XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: 2Mac 6,18-31 / Sal 3 / Lc 19,1-10


IL CORAGGIO



Il coraggio è un'attitudine del cuore, organo profondo che - nella Scrittura sacra - non è solo la locanda dei sentimenti, ma anche lo scrigno della memoria, il fulcro della volontà, il parlamento delle scelte e del libero agire. Oggi la liturgia ci mostra come il coraggio possa esprimersi almeno in due modi, entrambi frutto di «un nobile ragionamento» (2Mac 6,23).


Il racconto dei libri dei Maccabei, che ci accompagnerà in questa settimana, documenta un momento difficile per il popolo di Israele. I Seleucidi, potente dinastia ellenistica, dopo la morte di Alessandro Magno avevano preso il potere sulla parte orientale dei suoi vasti domini. Di questa enorme porzione di terra faceva parte anche il fazzoletto della Palestina. Il popolo di Israele, fortemente attaccato alla Legge e al culto dell'unico Dio, si trova di fronte al pericolo di perdere la propria identità di fronte al massiccio tentativo di introdurre i costumi civili e religiosi della Grecia nei suoi confini. In questa drammatica cornice si snoda il racconto dei figli di Mattatia che organizzano e guidano la resistenza contro i dominatori greci. La figura dell'anziano «Eleàzaro, uno degli scribi più stimati» che «veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina» esprime efficacemente il clima di quei giorni. Sappiamo infatti che la Torah proibisce agli ebrei (ancora oggi) di mangiare il maiale e tutti i suoi derivati. Quando Eleàzaro si rende conto che il rifiuto di mangiare «le carni sacrificate imposte dal re» (6,21) lo espone al pericolo di morte, fa un ragionamento coraggioso, «degno della sua età e del prestigio della vecchiaia» (6,23). Decide di abbracciare «una morte gloriosa» piuttosto che lasciare un esempio fuorviante ai «giovani». Avrebbe potuto trovare un compromesso, rivendicare il diritto di una «condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo» (6,23). E invece attinge forza dal cuore e decide di rimanere fedele alle «sante leggi stabilite da Dio» e a se stesso, senza paura della «morte» (6,23).


Nel vangelo ascoltiamo il racconto di un altro tipo di coraggio, quello di Zaccheo che, dopo aver «rubato» (Lc 19,8) per molto tempo diventando «capo dei pubblicani e ricco» (19,2), un giorno cerca «di vedere chi era Gesù» (19,3), salendo «su un sicomòro» (19,4), poiché «era piccolo di statura» (19,3). Il suo gesto esprime il coraggio di mettere in discussione la propria vita, di abbandonare i ruoli assunti, di confessare i propri fallimenti. È il coraggio di cambiare, quando è necessario farlo. Il Signore intercetta con amabile cortesia il gesto di generosità di Zaccheo e si procura un invito a pranzo: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (19,5). Zaccheo? Non sta più nella pelle dalla «gioia» (19,6), perché la «salvezza» è entrata nella sua «casa» (19,9), ciò che sembrava «perduto» (19,10) è stato cercato e salvato dall'amore di Dio.


Fedeltà e libertà sono forme con cui si può esprimere il coraggio, quella bella attitudine che fiorisce nella nostra vita quando ci scopriamo cercati e accolti da un Dio che «ha amato noi» (canto al vangelo). Proprio noi.


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