Venerdì - XXIX settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 7,18-25 / Sal 118 / Lc 12,54-59


TROVARE UN ACCORDO



Davvero grande realismo nelle parole dell'apostolo Paolo. Senza girare attorno al problema, riflette sulla spaccatura interiore che ogni uomo di buona volontà sperimenta nella sua vita: «Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm 7,18-20). Già, proprio così. Abbiamo uno scomodo inquilino nella nostra casa: si chiama peccato. Ce ne accorgiamo ogni volta che la nostra vita fallisce l'incontro con la serenità, quando ci manca il coraggio di essere giusti, la semplicità per essere veri, l'amore per comportarci come fratelli di quanto ci circonda. E non vorremo. Ci piacerebbe che il bene fosse il nostro stabile inquilino. Ma il desiderio non coincide con la capacità. «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (7,24) esclama san Paolo, con tono drammatico.


Pare abbastanza scontato che sia «Dio per mezzo di Gesù Cristo» (7,25) l'oggetto della precedente domanda retorica. Ma come? Il vangelo incrementa sensibilmente le buone notizie. Di fronte ad una generazione abbastanza immobile di fronte ai suoi forti insegnamenti, il Maestro muove un rimprovero che nasconde un incoraggiamento: «Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57). C'è un problema di riconoscimento che blocca il cambiamento della nostra vita per opera della grazia di Dio. L'esortazione a gettare la maschera vuole denunciare una non giustificabile immobilità che ci trasciniamo dietro. Così come ci sono segni attorno a noi che sappiamo interpretare, allo stesso modo - dice Gesù - esistono eloquenti segni della benevolenza di Dio che dovremmo saper valutare e che possono modificarci. Non è una parola di rimprovero, perché ci vuole spronare a diventare capaci di giudicare da noi stessi ciò che è giusto e buono, uscendo da quello scacco matto interiore che ci lacera e ci paralizza.


Ma cosa dobbiamo saper valutare? In ultima analisi l'infinita pazienza di Dio, che è l'unica forza a noi accessibile per cercare di «trovare un accordo» in questo mondo con ogni «avversario» (12,58) che ostacola il nostro cammino. La parabola che chiude il vangelo vuole condurci ad attuare adesso - senza rinvii - la logica della riconciliazione. «Questo tempo» (12,56) che ci è donato di vivere è un tempo di grazia, nella misura in cui lo viviamo con sentimenti e atteggiamenti di misericordia. Il più difficile e temibile avversario è sempre il nostro io, così chiuso e arroccato, poco incline al cambiamento e alla risurrezione. È il nostro quotidiano punto di partenza, per imparare l'arte di accordare la nostra vita al vangelo.


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