Mercoledì - XXVII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Gn 4,1-11 / Sal 85 / Lc 11,1-4


PIETÀ



Dopo la conversione di Nìnive che si ravvede, e quella del Signore Dio che abbandona le sue minacce di male, Giona non ce la fa più. Prova «grande dispiacere» ed è sdegnato» (Gn 4,1) davanti ad un «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore» (4,2). Preferisce morire piuttosto che continuare a vivere sotto un cielo così paziente: «Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché è meglio per me morire che vivere!» (4,3). L'apatico profeta è al colmo dell'indignazione nei confronti di un Dio che si dimostra troppo buono e che non sembra autorizzare alcuna rivalsa nei confronti del male. Giona è depresso perché sa che Dio è ricco di amore, ma non conosce il vigore della pietà, la forza nascosta nella misericordia. Un po' come noi che diciamo di credere nel Dio crocifisso e risorto, siamo convinti di sapere quanto il suo amore sia più grande del nostro cuore (cf 1Gv 3,20), e intanto la nostra vita resta una baraonda, un tumulto di sorrisi e peccati che non si ricompone mai fino in fondo.


Allora Dio offre a Giona l'occasione di sperimentare nuovi sentimenti. Fa «crescere una pianta di ricino al di sopra» di lui « per fare ombra alla sua testa» (Gn 4,6). E il profeta prova «una grande gioia per quel ricino» (Gn 4,6). Quando siamo depressi e sfiniti, perché la vita ci ha ferito, abbandonati in fondo ad un dolore, in mezzo ad una terribile solitudine, può apparire improvvisamente all'orizzonte qualcuno o qualcosa che riapre le porte della nostra sensibilità. Proprio quando ci sembrava di essere ormai sepolti nelle tenebre di una infinita tristezza, ecco che rinasce in noi la capacità di provare sentimenti di amicizia e di amore.


Questo è il mistero del «regno» (Lc 11,2) di Dio che si è rivelato nell'umanità di Cristo. Abita in noi una invincibile capacità di essere mossi dalla misericordia, che niente e nessuno può strapparci dall'anima. La Scrittura definisce «pietà» questa insuperabile qualità umana che si è rivelata nel mistero del «Padre» (11,2) e nel «regno» del Figlio suo, il Signore Gesù. Questa incrollabile intensità rinasce continuamente attraverso il gesto semplice e «quotidiano» (11,3) della preghiera. È un «pane» (11,3) che ci viene offerto senza pause dal Dio che «perdona a noi i nostri peccati», affinché anche noi «perdoniamo a ogni nostro debitore». Quel Dio che non vuole «abbandonarci» mai, in nessuna «tentazione» (11,4), in nessuno sconforto.


Commenti

Unknown ha detto…
il cuore ferito
ci parla d'amore,
e abbracciato da un altro
si commuove,
e diventa preghiera armoniosa
illuminata dal Senso..

grazie fra Roberto..

Cristina.