Mercoledì - XXIX settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 6,12-18 / Sal 123 / Lc 12,39-48


SCHIAVI DELLA GIUSTIZIA



La schiavitù, tristemente attestata nel mondo occidentale sin dai tempi antichi, oggi è formalmente bandita. Attraverso un lungo processo, che affonda le radici nell'alto medioevo, la nostra civiltà ha solennemente sancito l'incompatibilità tra questo atroce istituto e i diritti fondamentali dell'uomo. Sorprendentemente, le Scritture sante in questo giorno fanno riferimento a questa ingiusta pratica, indicandola come una realtà in grado di descrivere il dinamismo della vita cristiana. Ci può sembrare desueto e inefficace un simile linguaggio, eppure la pretesa della liturgia di oggi, sembra proprio quella di voler raffigurare tutta l'esistenza umana dentro le categorie della schiavitù e del servizio. San Paolo non ha esitazioni: nel nostro «corpo mortale» può regnare «il peccato» (Rm 6,12) oppure la «giustizia» (6,18); o offriamo noi stessi «a Dio come viventi» oppure le nostre «membra» diventano «strumenti di ingiustizia» (6,13).


La drammatica oscillazione tra queste due forme di schiavitù - una per la vita e una per la morte - non è in contrapposizione con la grande dichiarazione di amore che pervade il vangelo. Anzi, ne è la più seria conseguenza. Infatti, proprio a causa della benevolenza di Dio che si è rivelata in Cristo, la nostra vita può svolgersi sotto il dominio di quella «grazia» che «conduce alla giustizia» (6,16), oppure cogliere il ritardo della venuta del «padrone» (Lc 12,45) come un'occasione per rimettersi «a peccare» (Rm 6,15).


Molte volte facciamo esperienza di questo invincibile dualismo dentro di noi. Accanto a momenti belli e sereni, nei quali ci accorgiamo di quanto l'amore di Dio stia rendendo bella la nostra vita, scopriamo dentro di noi la forza del peccato che domina su di noi e la debolezza della nostra libertà che si sottomette «ai suoi desideri» (6,12). Alcune volte sono solo pensieri, tentazioni, cedimenti occasionali. Altre volte sono vizi e dinamiche che ci avvolgono senza tregua, come quel servo che, anziché obbedire «di cuore» alla «forma di insegnamento» (6,17) ricevuta dal suo padrone, decide «in cuor suo» di cominciare a «percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi» (Lc 12,45).


«È assurdo!» (Rm 6,15). Già, eppure nessuno riesce a sottrarsi a questa battaglia. Nessuno si può sentire al sicuro. Tutti invece a buon diritto dobbiamo sperare di poter vivere ogni giorno l'esperienza di essere «liberati dal peccato», come «un passero dal laccio dei cacciatori» (Salmo responsoriale) dall'amore fedele di Dio. Solo così il domani smette di essere un temibile giorno e diventa il luogo dell'incontro con il «Figlio dell'uomo» (Lc 12,40), il tempo nel quale avremo «disposto o agito secondo la sua volontà» (12,47).


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