Lunedì - XXVIII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 1,1-7 / Sal 97 / Lc 11,29-32


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Ci sono tanti modi di iniziare il giorno. Differenti porte attraverso cui accedere al tempo che ci viene donato. Le Scritture sante oggi ne illustrano due, mettendoli a serrato confronto. Esiste una postura di fronte alla vita che il Maestro non esita a definire «malvagia» (Lc 11,29). Si tratta di un modo di fare largamente praticato, tipico di ogni «generazione», che si consuma nell'attesa di «un segno» (11,29), ritenuto indispensabile sprone per convertire la vita verso il suo meglio. Le scienze umane hanno illuminato molto questa palude della nostra psiche, dove i sensi di inferiorità riescono a fornire un terreno sempre fragile alla nostra volontà. Rintanarci nei piccoli recinti dove ci sentiamo protetti, rinviare eternamente le decisioni importanti, sono tipici meccanismi con cui ci difendiamo dagli appelli che la vita continuamente ci rivolge. Piuttosto decisa la reazione del Signore rispetto a questa nostra indolente apatia: «Non sarà dato alcun segno (a questa generazione), se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione» (11,29-30). Per dire come stanno le cose, Gesù si paragona al profeta svogliato e codardo, che tuttavia riesce a convertire un'intera città pagana, con la sua parola asciutta e disincantata. Il Maestro ci dice insomma che non sono i fuochi d'artificio a dare una svolta alla nostra settimana. Il tempo che viviamo è sufficientemente pieno di «grazia» (Rm 1,5), occorre saperla riconoscere e ascoltare la sua «chiamata» (1,1) su di noi. «Qui», assicura il Nazareno, c'è molto «più» (11,32) di quanto noi pensiamo.


È il segreto intuito da Paolo, che rappresenta l'altro modo possibile di porsi di fronte alla fatica di vivere. Il suo non fu certo un percorso semplice e lineare, ma quando il fariseo Saulo di Tarso scoprì il tesoro del vangelo, il suo modo di concepirsi cambiò radicalmente. Ne abbiamo un ottimo esempio nell'avvio della lettera ai Romani, che accompagnerà la nostra riflessione nelle prossime settimane: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1). Quando Paolo si è scoperto «amato da Dio» (cf 1,7), ha compreso che la sua vita poteva diventare un «servizio», ha scoperto che il suo nome era quello di «servo» (Rm 1,1). Forse ci possono risuonare desueti questi termini, eppure il loro significato è eternamente vero e bello. Un servo non è soltanto uno obbligato a fare determinate cose per il suo padrone. Un servo è anche una persona utile a qualcuno, indispensabile a certi scopi. Le cose che fa il servo non le fa - e non le vuole fare - il padrone. Ecco un altro modo per iniziare la giornata, per imbeccare il tempo affamato della nostra presenza! Ricordare che la nostra vita, con i suoi sorrisi e i suoi casini, serve a Dio per «annunciare il vangelo», che il nostro nome è stato «scelto» (1,1) per diventare segno del suo nome eterno e glorioso. Di lui infatti portiamo le insegne, ci chiamiamo cristiani.


Proprio «qui» (Lc 11,32). Proprio ora.


Commenti

Jessica ha detto…
Grazie Roby! Mi metto a servizio con amore e senza "lamentele"...