Giovedì - XXVII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Ml 3,13-30 / Sal 1 / Lc 11,5-13


INVADENTI



Sarà anche un gesto profondo e bello, però - dobbiamo ammetterlo - pregare è difficile. Mancano scuole e maestri. Ci servirebbe più tempo e silenzio. E poi Dio sembra spesso tacere o - peggio ancora - ignorare le nostre petizioni. Così dopo aver tentato di pronunciare dolci parole al Signore, i «discorsi» (Ml 3,13) del nostro cuore si fanno improvvisamente «duri», perché diciamo: «È inutile», «che vantaggio abbiamo ricevuto?» (3,14). Non vediamo più né la necessità né l'utilità di perseverare in un'arte tanto difficile, che non riesce a procurarci le «cose buone» (Lc 11,13) che desideriamo. Sospendiamo un tentativo con cui ci è parso addirittura di poter «importunare» (11,7) il Signore di tutte le cose. Quasi anticipando tutte queste difficoltà, il Maestro Gesù dopo aver insegnato il Padre nostro, allega spontaneamente ulteriori istruzioni per l'uso della preghiera, raccontando la parabola dell'uomo che di notte riceve la visita di un amico che, «per la sua invadenza» (Lc 11,8), riesce ad ottenere «tre pani» (11,5) da offrire ad un ospite. L'insegnamento che il Signore trae dal racconto è piuttosto semplice. La preghiera deve imparare ad essere sfacciata, insistente, quasi insensibile alle esigenze dell'altro (secondo una efficace traduzione della parola anaideia, resa con il termine invadenza al v.8).


Infatti nella preghiera non è in gioco semplicemente qualche parola da pronunciare e qualche dono da ricevere, ma il nostro diventare «figlio» davanti al «padre» (Lc 11,11). Pregare significa entrare progressivamente nella conoscenza del Padre per vivere nel «timore del suo nome» (cf Ml 3,20). Molta apparente inefficacia della nostra preghiera non dipende tanto dalla disattenzione di Dio nei nostri confronti, quanto dalla minuscola fame che accompagna le nostre parole. Siamo poco sfacciati di fronte a Dio perché, in realtà, molti nostri atti di culto e di devozione sono solo un tentativo di nasconderci al fuoco di una relazione d'amore che ci vuole coinvolgere pienamente. La cosa più triste è che non abbiamo nemmeno il coraggio di riconoscere che le cose stanno così, rimanendo politicamente molto corretti davanti al Dio che sembra non ascoltare la nostra voce. Non abbiamo il coraggio di muovere critiche al modo con cui Dio (non) si dimostra «Padre nostro» (Mt 6,9). Invece Dio non ha alcun timore di accusare la nostra inutile timidezza davanti a lui, denunciando un certo modo ipocrita di essere figli davanti a lui: «Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?» (Lc 11,11-12).


Ciò che può rilanciare il gesto della nostra preghiera non è lo sforzo di mostrarci a Dio in una luce migliore. Molto meglio permettere alla nostra povertà quotidiana di diventare un grido che chiede a Dio tutto e non qualche cosa. Poiché «il Padre darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (11,13). Proprio come dicevano i profeti: «Sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20).


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