XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Letture: Is 35,4-7 / Sal 145 / Gc 2,1-5 / Mc 7,31-37


SENZA PAROLE



Facciamo fatica a nutrirci di Dio e del suo amore perché il nostro cuore ha un grave problema: è impuro. Questo, in estrema sintesi, il messaggio della Parola di Dio nei mesi estivi appena trascorsi. Forse non era esattamente il tipo di cose che volevamo sentirci dire, in un periodo dell'anno tradizionalmente consacrato al riposo e alla vacanza. Eppure il Signore non ci mette mai in crisi se non per offrirci il regalo di una vita migliore. Così dopo averci detto che il nostro cuore è impuro, oggi attraverso il vangelo ci annuncia che il nostro cuore è salvato dalla sua chiusura in se stesso.


Chiusi

Il Maestro continua a parlarci di impurità, compiendo un miracolo proprio «in pieno territorio della Decàpoli» (Mc 7,31), una regione considerata indegna nella cultura ebraica. Esattamente in questo luogo Gesù opera un fatto straordinario, guarisce un «sordomuto» (7,32). Una persona che non può né ascoltare, né parlare ha i lacci della comunicazione tagliati, è qualcuno che non può avere accesso alla relazione con gli altri. Sappiamo che la radice di questo problema è la sordità (infatti diciamo sordomuto e non mutosordo!) Quest'uomo, che viene portato davanti al Signore Gesù, è semplicemente senza parole: non le può ricevere e non le può pronunciare. Altri devono pregare per lui, poiché egli non è in grado di emettere nemmeno la domanda della sua personale afflizione: «E lo pregarono di imporgli la mano» (7,32). Il Maestro risponde all'appello che gli viene rivolto prendendolo «in disparte, lontano dalla folla» (7,33). Ci sono cose che possono succedere solo in disparte, lontano dal chiasso e dalla presenza degli altri. Esiste una dimensione del nostro rapporto con Dio che non può risolversi insieme ai fratelli, attraverso i preziosi atti comunitari della fede, ma soltanto nel confine sacro di un incontro personale. Occorre, talvolta, essere presi in disparte, come spesso fa anche la vita: ci regala un'improvvisa sosta, ci blocca il cammino, ci mette per qualche tempo ai margini della storia. Nelle forme più svariate: una malattia improvvisa, un incidente, un imprevisto, la rottura o la trasformazione di un legame che ci sembrava ormai sicuro. A prima vista questi momenti sembrano soltanto una disgrazia, mentre in realtà possono essere l'anticamera di grandi trasformazioni che Dio può operare nella nostra vita. Non di rado nascondono enormi potenzialità, lentamente si rivelano come vere e proprie occasioni per incontrare nella solitudine il Dio che è sempre con noi.


Uno per tutti

Gesù realizza il miracolo in una forma abbastanza curiosa. Per prima cosa mette le sue dita nelle orecchie del malato. Perché? Cosa significa? Le dita sono quel particolare anatomico che distingue l'uomo da tutti gli altri animali e lo rende capace di compiere opere straordinarie. Le dita rappresentano la capacità di compiere opere. Gesù pone nelle orecchie del sordomuto le dita di Dio, cioè le sue opere. Riempie le sue orecchie dell'annuncio di quanto Dio è capace di fare. Non è forse la stessa cosa che il profeta Isaia rivolgendosi ad un popolo smarrito nel tempo dell'esilio: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio» (Is 35,4). Il compito del profeta è appunto questo: annunciare le cose che, impossibili all'uomo, non sono invece impossibili alla fedeltà e all'amore di Dio. Cominciamo a comprendere come la guarigione del sordomuto non sia soltanto la cronaca di un miracolo, ma la rivelazione di un gesto profondamente simbolico che il Signore compie verso la nostra umanità. Poi Gesù mette la sua saliva nella bocca del sordomuto. La nostra lingua infatti per emettere suoni ha bisogno di essere idratata, lubrificata. Questa saliva, immagine dello Spirito che accompagna la parola di Gesù, significa che il sordomuto ha bisogno di avere le parole e lo spirito di Dio nella propria bocca. Non ci basta infatti ascoltare la voce di Dio, abbiamo pure bisogno di rivolgere a lui la nostra voce. La saliva di Gesù nella bocca del sordomuto dice che si impara a pregare pronunciando la parola di Dio e accogliendo lo Spirito che sempre la accompagna. Poi, dopo questo due gesti, Gesù apre i canali comunicativo con il cielo e avviene la guarigione: «E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,35). Quando noi riceviamo le parole di Dio nelle orecchie e le pronunciamo con la nostra bocca, si aprono i cieli ed entriamo in comunicazione con Dio. È un istante di creazione: il nodo della nostra solitudine si scioglie, perché qualcosa di Dio entra in noi per dimorarvi fedelmente.


Aperti

Anche noi conosciamo molte forme di mutismo. Davanti ai problemi, dentro le sofferenze, di fronte alle persone che amiamo, ci scopriamo molte volte incapaci di parlare con verità, privi di una comunicazione semplice e profonda, bloccati nel tentativo di condividere il senso della vita. Alla radice di questa paralisi c'è quasi certamente una incapacità di ascolto. Soprattutto della voce di Dio, che attraverso il suo Figlio, vuole rivelarci il suo amore per noi. Ecco perché ci è sembrato duro il discorso sul pane di vita quest'estate. Non perché fosse difficile, ma perché il nostro cuore è davvero chiuso ad una parola così bella. Siamo sordi perché ignoriamo ancora quanto Dio ci ami e quanto sia disposto a fare affinché la nostra vita sia piena e felice. Siamo muti, perché il nostro cuore è privo di belle notizie da raccontare. Ma il vangelo annuncia che Dio ha intenzione di liberarci da questa profonda chiusura, per trasformarci in creature nuove, capaci di «udire» e di «parlare» (7,37). E di farlo bene, «correttamente» (7,35).


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