XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Letture: 1Re 19,4-8 / Sal 33 / Ef 4,30-5,2 / Gv 6,41-51


VITA ALTRA



Abbiamo bisogno di un altro cibo, un pane diverso da quello che mangiamo tutti i giorni. Perché, in verità, esiste un'altra fame in noi: fame di giustizia, di verità, di amore. Questo pane esiste e ci viene donato: è lo stesso Signore che si fa nutrimento per noi. Risuonava più o meno in questi termini la buona notizia di domenica scorsa. Oggi, la parola di Dio continua a battere il ferro, sperando sia ancora caldo. Ci parla di una vita diversa da quella che ordinariamente sperimentiamo, una vita davvero 'altra' che possiamo abbracciare e che il Maestro Gesù non ha timore di definire «eterna» (Gv 6,47). Sembra interessante la cosa, no?!


Brontoloni

Eppure, ogni volta che Dio prova ad introdurci nella ricchezza dei suoi doni, scatta prontamente in noi uno stupido meccanismo di autodifesa che ci tappa le orecchie del cuore. Si tratta di un automatismo antico, che già «i Giudei» conoscevano bene. Infatti, dopo aver ascoltato la proposta del pane del cielo, «si misero a mormorare» (6,41) contro di lui dicendo: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: 'Sono disceso dal cielo'?» (6,42). Ecco la nostra tipica reazione di fronte alla voce di Dio: ci chiudiamo in una supponente autosufficienza, in quel povero bagaglio di cose che abbiamo appreso nel corso della vita. Naturalmente lo facciamo con molta discrezione ed eleganza; mormorare è verbo onomatopeico che descrive la capacità di brontolare sotto voce. La prima difficoltà nell'ascoltare la proposta di una vita eterna sta tutta qui, nella nostra testa già satura di sapere. Per quanto non ci piaccia riconoscerlo infatti, passiamo il tempo ad osservare, valutare e catalogare. Cose, avvenimenti, persone, sono l'oggetto ordinario del nostro vaglio critico. Ne consegue un triste scenario, quello di una realtà ormai decodificata e, quindi, neutralizzata nella sua istanza di verità. Per questo Dio fa fatica a parlare ai grandi, a riaccendere nel loro cuore il sogno di una vita migliore. I grandi sanno già come vanno le cose, come gira il mondo. I grandi imparano a storcere il naso quando Dio parla. Le obiezioni che i Giudei sollevano di fronte a Gesù sono le matrici di tutti i giudizi che ci impediscono di ascoltare la voce di Dio nelle povere mediazioni umane di cui sempre si serve: l'umanità di un sacerdote, la povertà di una comunità parrocchiale, le miserie della chiesa e dei suoi membri. Tutto già visto; tutto già noto!


Attiràti

«Non mormorate tra voi!», esclama il Signore; quasi cercando di ridestare in noi lo stupore e il fanciullo che abita in noi. Mentre noi crediamo di avere ormai in pugno la realtà, Gesù ci ricorda che la storia sta invece tutta nelle mani e nell'iniziativa di Dio: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (6,44). Non è una specie di ricatto o di manifestazione di forza da parte di Dio. Più semplicemente siamo ricondotti ad un principio di verità (e di igiene mentale) abbastanza semplice: la vita e il suo significato non sono qualcosa che ci possiamo dare da soli, ma un dono di Dio da conoscere e interpretare sempre meglio. Così come un giorno siamo stati tratti dal nulla e chiamati ad esistere, così ogni giorno siamo attiràti da Dio per conoscere in profondità la sua e la nostra vita. Già, proprio così! Il viaggio che stiamo facendo in questo mondo, non è una libera crociera, diretta dove vogliamo o dove suggerisce il bel tempo. Tutta la creazione proviene da Dio e va verso di lui, in silenziosa attrazione. E, sebbene in questo mondo alcuni si dicano credenti ed altri no, Dio - che è Padre universale - non fa preferenza alcuna, come già i profeti avevano intuito: «E tutti saranno istruiti da Dio» (6,45). Questo modo di vedere le cose forse può ridimensionare la nostra noiosa attività di mormorazione. Ci ricorda che Dio desidera attirarci a lui, che ha tanta voglia di incontrarci.


Eterni

Solennissimo, Gesù conclude: «In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna» (6,47). Ecco finalmente, la proposta di una vita diversa. Eterna, appunto! Il Signore, dopo aver messo a tacere il nostro mormorare, tenta di orientare i nostri occhi verso un meraviglioso orizzonte, verso una vita che sembra non conoscere lo scacco matto della fine. E ci svela che questa vita non è qualcosa che un giorno potremo avere, ma che già ora possiamo sperimentare attraverso la fede. Noi siamo comunemente portati a pensare alla vita eterna come una specie di premio riservato un giorno alle persone buone. Il vangelo ci rivela invece che si tratta di una qualità di vita che, già in questo mondo, è possibile sperimentare nella misura in cui viviamo «nella carità». La vita eterna è una vita piena, felice, vera. Spiega il Maestro: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (6,51). Vivere in eterno non significa evitare il passaggio obbligato (anche per Gesù) della morte, ma essere capaci di ricevere sempre la vita come dono, anche quando la storia ci fa passare attraverso il mistero della sofferenza e della morte. Gesù ha la vita eterna perché il suo modo di vivere è quello dell'amore, che muore e risorge. Avere la vita eterna significa dunque vivere nella logica della Pasqua, disponibili a morire per poter risorgere. Mentre noi vorremmo trovare il modo di prolungare all'infinito una qualità di vita mediocre e talvolta molto superficiale, Dio ci propone di entrare in una vita indistruttibile perché piena di amore. Paolo afferma che questa vita è inconfondibile, perché ha un «soave odore», che si diffonde ogni volta che camminiamo «nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,2). Questa vita, profumata e colma, è - grazie a Dio - la sola «vita del mondo» (Gv 6,51). L'unico destino a cui siamo chiamati.

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