III Domenica del Tempo di Pasqua – Anno B

Letture: At 3,13-14.17-19 / Sal 4 / 1Gv 2.1-5 / Lc 24,35-48


TROPPA GIOIA



Gli uomini hanno avuto serie difficoltà ad accogliere in Gesù la rivelazione piena del mistero di Dio, mentre egli era in vita. Non era certo facile accettare la possibilità che tutta la gloria divina si potesse manifestare nella carne di un umile falegname di Nazaret, che passò alcuni anni della sua vita a predicare come rabbì itinerante il regno dei cieli. Gesù infatti non riuscì a convertire quasi nessuno del suo popolo finché era in vita: solo un minuscolo manipolo di uomini, che nel momento cruciale fuggirono e alcune donne che invece rimasero con tenacia e speranza, anche nell'ora della passione. Niente di più. Poi la risurrezione, l'Ascensione, la Pentecoste, la vittoria di Dio sul peccato e sulla morte. Eppure negli uomini rimase – e rimane – un ostacolo inveterato che impedisce loro di accedere serenamente alla gioia della Pasqua. La risurrezione di Cristo – che annuncia anche la nostra risurrezione – sembra una notizia troppo bella per essere vera. 


Complicazioni

Questo è quanto ci racconta il Vangelo di questa domenica. Dopo aver incontrato i due discepoli di Emmaus, «Gesù in persona» si presenta a tutti gli altri discepoli riuniti insieme, e rivolge a loro un meraviglioso saluto: «Pace a voi!» (Lc 24,36). La reazione dei discepoli però è stranissima: «Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma» (24,37). Come mai? Gesù stesso li interroga su questo punto: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?» (24,38). Conviene fermarci e riflettere, perché questo comportamento non appare molto comprensibile. I discepoli avrebbero dovuto saltellare e gridare di gioia. Il loro amato Maestro era di nuovo con loro, niente affatto arrabbiato o deluso, pieno di pace nel cuore. Perché essere sconvolti, turbati, dubbiosi, arrivando persino a ritenere la sua presenza quasi simile a quella di un fantasma? Perché i discepoli, in fondo, pur avendo vissuto tre interi anni con Gesù, non avevano ancora accolto veramente la sua parola e la sua vita. Avevano proiettato su di lui i loro sogni, i loro bisogni, le loro speranza talvolta incompatibili con la logica del Vangelo. E poi un giorno, un maledetto venerdì di Pasqua, quel Gesù che loro credevano di seguire era morto, sepolto, scomparso. Fine delle speranze, fine delle illusioni. L'apparire di Gesù è quindi per i discepoli la comparsa di una strada che era definitivamente scomparsa nel loro orizzonte. Questo è il problema che i discepoli di ogni tempo devono affrontare se vogliono incontrare realmente la presenza del Signore crocifisso e risorto. Chiunque abbia seriamente provato a credere in Cristo è chiamato, prima o poi, a scoprire dentro di sé un radicale rifiuto alla logica del Vangelo che considera inaccettabile l'assunzione della morte e della sofferenza da parte di Dio. Ecco perché il Signore considera importante spostare lo sguardo dei discepoli proprio verso le sue piaghe: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (24,39). Gesù non sta mettendo in mostra la sua forza, ma sta esibendo l'ultima prova evangelica maturata proprio nella sua carne: l'amore vince l'odio e sconfigge il peccato, la misericordia dopo essere stata uccisa, risorge. Questa è l'ultima, complessa catechesi che il Risorto deve fare ai discepoli di ogni tempo, che incontra tante – troppe – complicazioni prima di entrare nel cuore dell'uomo per condurlo alla gioia pasquale. 


Spiegazioni

Gesù si accorge che i discepoli non riescono a credere ai loro occhi «per la» troppa «gioia» che si verrebbe a creare dentro di loro. Allora smorza il ritmo con una proposta geniale: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Il Risorto è consapevole che la luce della Pasqua rischia di accecare i nostri occhi avvolti ancora dalla tristezza e di far scoppiare il nostro cuore ancora dominato da logiche di violenza, per questo decide di sedere a mensa con noi, affinché ci abituiamo gradualmente alla sua presenza attraverso un gesto semplice e quotidiano. Non è la mensa eucaristica questo luogo dove noi impariamo ad accogliere la presenza del Signore risorto? Non è la liturgia lo spazio in cui ascoltiamo le «Scritture» e la nostra «mente» (24,45) si apre alla conoscenza di «tutte le cose scritte nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (24,44)? La luce potente della Pasqua penetra instancabilmente nelle nostre tenebre, accompagnandoci a credere che l'umanità non è più il luogo dove si soffre e si muore, o dove si viene giudicati e condannati, ma è il teatro di una infinita e paziente misericordia. Ne parla con chiarezza Giovanni nella sua prima lettera: «Se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,1-2). Dio è ormai, definitivamente, dalla nostra parte, per donarci la sua vita in cambio della nostra morte. I peccati sono perdonati. Non solo i nostri, di noi che confessiamo la fede nell'evangelo, ma quelli di tutto il mondo. Questo è quello che tutte le Scritture dicevano e dicono: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,46-47).


Pane al pane, vino al vino

Pietro è la prima, intensa, incarnazione di questa profezia. Davanti al popolo di Israele non esita a dire: «Dio ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato» (At 3,13). Ci vuole un bel coraggio a pronunciare queste parole, dopo aver rinnegato tre volte il Maestro durante la notte dell'arresto! Come può Pietro parlare così? Eppure insiste: «Voi avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l'autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (3,14-15). Simon Pietro non ha paura di parlare in questo modo, perché egli per primo ha già toccato il fondo, riconoscendo di aver rinnegato e ucciso il Signore. Ma poi, dopo la sua risurrezione, ha scoperto un'altra cosa: che proprio nel fondo della sua miseria risplendeva ancora di più la luce dell'amore di Cristo, si è scoperto amato anche nel momento del tradimento e del peccato. Ha smesso di piangersi addosso e si è lasciato rialzare dal sorriso del Signore risorto. Ecco perché si permette di stare in piedi come un peccatore perdonato e di parlare con una simile franchezza, senza ambiguità, senza inutili giri di parole: pane al pane e vino al vino! E difatti il suo discorso non si conclude con una denuncia, ma con una incredibile proposta: «Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione» (3,19).


Il tempo di Pasqua che viviamo è un tempo davvero speciale. Più lungo e più difficile della quaresima. È il momento di convertirsi alla vita piena, lasciando perdere gli inutili sensi di colpa, gli eccessivi sguardi davanti allo specchio, i noiosi giri di testa e di parole, per tenere «fisso lo sguardo su Gesù» (Eb 12,2). Solo guardando al suo volto che splende di amore e di gioia possiamo rialzarci dai nostri passi stanchi e diventare credibili «testimoni» (Lc 24,48) del Vangelo che salva ogni uomo. 


Commenti

Unknown ha detto…
Come posso essere profumo di Cristo ed espanderlo come solo il vento dello Spirito sa fare?
Si, forse è proprio quel non guardarsi troppo allo specchio ma adorare il Santissimo nel Pane dell’Eucarestia.
Chi potrà mai salvare il mio corpo dalle tenebre del peccato? Il suo Corpo esposto nei tabernacoli della sua Chiesa, nella mia carne quando lo mangio nella santa Messa, nell’ascolto sincero della sua Parola e nel contemplare il suo Corpo nei suoi servitori fedeli… Solo Lui, la sua tenerezza, il suo perdono, quel suo guardarmi senza veli e artifici umani, quel suo andare in quelle stanze buie del mio cuore nascosto… a passi leggeri e silenziosi. Come posso essere il suo profumo, avere i suoi atteggiamenti? E’ baciare le sue mani e i suoi piedi per divenire sue mani che donano e suoi piedi che conducono all’annuncio, adorare il suo volto trasfigurato e fare esperienza del suo Amore sul mio corpo mortale. Allora si che non mendicherò più amore da chi mi è solo dono ma è andare verso il Donatore. Sì, questa è la gioia vera e che dura: così il mio corpo lascerà tracce del Risorto in chi altrimenti mi diventerebbe mortale. Pace a te con tutto il mio essere!