Venerdì - IV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Eb 13,1-8 / Sal 26 / Mc 6,14-29


CORPI MORTALI



Non è solo la cronaca ad attirare la riflessione delle nostre coscienze verso il grande mistero della vita umana, con i suoi indisponibili confini. Anche le Scritture sacre, in questo venerdì, accompagnano la nostra meditazione dentro lo scomodo limite che tutti siamo chiamati ad affrontare in questo mondo: la morte. L'autore della lettera agli ebrei offre alcune esortazioni, prima di giungere a conclusione: «Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale» (Eb 13,3). Molto concrete, molto praticabili le conseguenze che questo testo cristiano trae da una corposa riflessione sulla nuova alleanza e sul nuovo sacerdozio di Cristo. Tutto parte dalla memoria, cioè da una coscienza che non si sottrae troppo facilmente da un sano e misericordioso legame con la realtà. Ricordare significa mantenere nel cuore una realtà vista o nota, incontrata o evidente, vicina o lontana. Sembra proprio quanto «il re Erode» non riesce a fare, quando accondiscende alla crudele decisione di tagliare «la testa di Giovanni», lo scomodo e autentico profeta. Erode non lo odiava, sapeva che era «giusto e santo» e «nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri» (Mc 6,20).


Purtroppo non è sufficiente avere simpatia per la verità, per poterla accogliere e difendere. È necessaria una coraggiosa capacità di custodirne le esigenze, attraverso un cuore attento e una libertà di fronte alle aspettative degli altri. Erode non è sufficiente maturo da comportarsi così, e cade nella folle, quanto diffusissima, tentazione di sacrificare la verità e la coscienza, pur di apparire potente agli occhi degli altri. Potremmo dire che, proprio per essersi dimenticato di essere «un corpo mortale» (Eb 13,3), Erode si permette di esprimere un fasullo «giuramento» (Mc 6,23) che diventa occasione perché il male dilaghi: «Voglio che tu mi dia subito la testa di Giovanni il Battista», dice la sensuale «figlia della stessa Erodìade» (6,22). Quanto male riusciamo a fare anche noi quando ci dimentichiamo chi siamo e chi sono gli altri! Quante patetiche e assurde parole pronunciamo per sottrarci all'irrimediabile condizione di creaturalità che segna quotidianamente la nostra vita e ci accomuna ad ogni essere umano!


Riattivare la memoria è la terapia suggerita oggi dalle Scritture. Ripristinare la coscienza della comune creaturalità è l'unica possibilità di salvezza per la nostra umanità. O ci facciamo solidali con gli altri, soprattutto con i più poveri e diseredati, oppure scivoliamo facilmente in un pericoloso oblio del cuore, dove sono possibili molte cose brutte, molte scelte sbagliate. Soprattutto contro gli altri, che con il loro corpo mortale e con la loro esistenza che chiede di essere accolta, ci ricordano che siamo tutti povere creature, felici soltanto nella misura in cui diventiamo capaci di accontentarci di quello che abbiamo, «perché Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò» (Eb 13,5).


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